di Julio Loredo
Tratto da TFP
Gli occhi del mondo erano puntati sul ballottaggio in Brasile. Domenica 30 ottobre, il Paese doveva decidere tra il consegnarsi al comunismo, portando alla presidenza il marxista Luis Inácio “Lula” da Silva, oppure continuare a reagire in senso conservatore, riconfermando per un secondo mandato il presidente uscente Jair Messias Bolsonaro. Dall’esito delle urne dipendeva anche l’indirizzo che avrebbe preso il continente latinoamericano. Si sarebbe rafforzata ulteriormente la marea rossa che lo sta inghiottendo? O sarebbe invece iniziata una riscossa anticomunista? Da ogni punto di vista, erano elezioni storiche.
Il risultato ormai lo conosciamo tutti: il candidato del Partito dei Lavoratori (PT) ha vinto di misura, con uno scarto di meno del 2%.
C’era da aspettarsi che, indossando magliette rosse (il colore di Lula), una folla festosa invadesse le strade e le piazze del Brasile per celebrare la vittoria. E, infatti, la folla c’è stata, ma indossava magliette gialloverdi, il colore di Bolsonaro. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per incoraggiare il Presidente e per protestare contro il comunismo. I video mostrano le oceaniche manifestazioni che, un po’ ovunque e in modo del tutto spontaneo, sono esplose al grido “Il colore del Brasile non sarà mai il rosso!”. Lunghe colonne di camion hanno bloccato le principali strade del Paese, mentre madri di famiglia spingendo passeggini inneggiavano alle Forze Armate di fronte alle caserme.
Qualcosa non quadra. Ciò che si vede per strada non riflette per nulla il risultato delle urne. Lula non riesce nemmeno a mettere il naso fuori dalla sua finestra senza essere seppellito da una tempesta di fischi e di gridi “Lula ladrone!”. Infatti, egli è scomparso per più di dieci giorni, alimentando anche voci di un possibile malore. I pochi comizi della vittoria che il PT é riuscito a organizzare sono rimasti ridicolamente vuoti. In contrasto, Bolsonaro passa da un bagno di folla all’altro. È quindi lecito chiedersi: ma questi risultati riflettono la realtà?
Il Rapporto del Ministero della Difesa
Si fa strada l’ipotesi che le urne elettroniche usate per le votazioni non siano del tutto affidabili, soprattutto se adoperate da personale schierato col PT.
Per esempio, in un collegio elettorale dello stato di Rio Grande do Sul tutte le macchine hanno dato 129 voti per Bolsonaro. Centoventinove: non uno in più, non uno in meno. Si paventa la possibilità che qualche hacker sia riuscito a manomettere il sistema. Proprio lo scorso 17 luglio Bolsonaro aveva riunito circa quaranta ambasciatori al Palazzo presidenziale per presentare prove dell’inefficacia del sistema di sicurezza delle urne elettroniche. Le prove erano contenute in un’indagine della Polizia Federale che riguardava una denuncia secondo cui un hacker era riuscito ad accedere ai sistemi virtuali del Tribunal Superior Eleitoral (TSE).
Sotto pressione pubblica per la sua ormai nota parzialità in favore di Lula, il TSE ha deciso di costituire una Commissione della trasparenza per assisterlo durante il processo elettorale. Ha invitato quindi il Ministero della Difesa a farne parte. Dopo un accurato esame, fatto con i propri tecnici informatici, il Ministero ha presentato un corposo Rapporto (286 pagine) che segnalava “aree di preoccupazione”. Queste preoccupazioni, teneva a rilevare il Rapporto, “sono tecniche e per niente politiche”.
Tanto per cominciare, il 39% delle urne elettroniche non aveva superato il test di operabilità, secondo quanto informa da Brasilia JP News[1]. Non avevano quindi il certificato di omologazione. Ciò invalida a priori qualsiasi risultato ottenuto tramite il loro utilizzo. In Italia, per esempio, la regolarità di una multa per eccesso di velocità rilevata con mezzi elettronici (autovelox o tutor) dipende dal fatto che l’apparecchiatura sia stata correttamente tarata nei sei mesi precedenti. In assenza del certificato di omologazione, una multa può essere legittimamente contestata. Ora, la maggior parte delle urne brasiliane non era stata toccata dalle ultime elezioni nel 2018. Avevano perciò superato largamente la scadenza di omologazione. Altri fonte dicono che tali urne avrebbero superato il test successivamente. Resta comunque un punto di interrogazione.
Il Rapporto della Difesa sollevava poi il problema della sicurezza interna. Mentre i firewall installati dal TSE fornivano un accettabile grado di protezione contro attacchi di hacker esterni, erano invece inefficaci nel bloccare manipolazioni interne. In pratica, chiunque poteva manomettere dall’interno il sistema. Se prendiamo in considerazione che, a cominciare dal Presidente, molti membri e tecnici del TSE parteggiano per il socialismo, le “preoccupazioni” del Ministero della Difesa appaiono del tutto comprensibili.
Il Rapporto raccomandava quindi che il conteggio dei voti fosse fatto pubblicamente e con la partecipazione di tecnici super partes. Cosa che, ovviamente, non è stata fatta. Fonti militari hanno parlato di “atteggiamento di sdegno” del TSE nei loro confronti.
In una conferenza stampa nei giorni seguenti alle elezioni, il generale Paulo Sérgio Nogueira, ministro della Difesa, ha dichiarato: “Abbiamo rilevato irregolarità già nel primo turno, e abbiamo consigliato il Presidente di adottare misure per proteggersi. Egli, però, ha voluto affrontare il ballottaggio comunque, pensando forse che sarebbe riuscito a monitorare il sistema [di voto elettronico]. L’analisi dei risultati permette di sollevare sospetti di frode. C’è un’evidente parzialità del TSE a favore della sinistra, a cominciare dal presidente Alexandre de Moraes, che era stato capo del dipartimento giuridico del PT”[2].
Sta circolando pure un altro Rapporto, scritto da “un gruppo di esperti tecnici nei campi della matematica, delle scienze politiche e dell’analisi forense”: Relatório preliminar de análise das urnas eletrônicas usadas na eleição presidencial do Brasil. Usando la Legge di Benford sulla distribuzione di probabilità, il Rapporto conclude: “Ci sono molteplici indicazioni cruciali che rendono improbabile la completa imparzialità del processo elettorale del 2022. Di queste, almeno due (02) sono indicazioni difficili da confutare scientificamente”[3].
Il Rapporto – settanta pagine di dati, grafici e statistiche – è stato ripreso da fonti autorevoli, come il New York Times e Fox News. Tuttavia, il suo carattere anonimo e l’assenza di un ente accademico che lo possa avvalorare, lo rende poco fruibile.
Per evitare questo tipo di brogli, il Governo Bolsonaro aveva chiesto che, dopo aver votato in modo elettronico, l’elettore potesse avere uno scontrino, o comunque un documento cartaceo, che comprovasse il suo voto. Il TSE si negò perentoriamente di concedere questa garanzia.
Maggioranze bulgare
In epoca sovietica, l’Albania era diventata lo zimbello del mondo, tra l’altro perché il dittatore Enver Hoxha vinceva regolarmente le elezioni presidenziali col 100% dei suffragi. Quel ruolo lo ricopre adesso la Corea del Nord, dove pure Kim Jong-un ottiene senza sforzo il pieno dei voti. Si tratta di un vizietto molto diffuso tra i dittatori di sinistra: da Fidel Castro, che otteneva il 99,4% dei voti, fino a Saddam Hussein, che se la cavava con un 97,6%. Per descrivere una tale situazione, il gergo giornalistico italiano ha coniato l’espressione “maggioranza bulgara”.
Sembra che Lula voglia entrare a far parte di questo esclusivo club.
Stando ai dati ufficiali divulgati dal TSE, sono migliaia i distretti in cui il candidato marxista ha superato largamente il 90%, lasciando a Bolsonaro le briciole. Non poche urne hanno attribuito addirittura il 100% dei voti a Lula. Un Rapporto, pubblicato lo scorso martedì 8 novembre, mostra le urne che attribuiscono il 100% al candidato della sinistra. Ogni risultato è accompagnato dal rispettivo link al sito ufficiale del TSE. Per aggiungere la beffa al danno, alcune di queste urne attribuiscono un solo voto a Bolsonaro. Qualcuno si è perfino divertito a fare un Google Maps con i paesi dove Lula ha ottenuto il 100%[4]. Ciò è alquanto strano e puzza di brogli. Eppure guai a dirlo! Si rischia perfino il carcere.
Vediamo il caso del noto commentatore politico Marcos Cintra, già Segretario della Receita Federal (Agenzie delle entrate). Egli si è permesso di dichiarare: “Ho verificato i dati diffusi dal TSE, e non vedo una spiegazione perché Jair Bolsonaro non abbia nemmeno un voto in centinaia di urne”. Questa anomalia, secondo Cintra, “solleva legittimi sospetti sull’affidabilità delle urne elettroniche, che meritano un’indagine”[5]. Tanto è bastato perché la dittatura giustizialista si abbattesse su di lui con inaudita ferocia. Cintra ha avuto tutti i suoi account social sequestrati per ordine diretto del presidente del TSE Alexandre de Moraes, che sta assumendo sempre di più le fattezze di un Führer tropicale.
È andata peggio alla deputata bolsonarista Carla Zambelli, la più votata a San Paolo. De Moraes no solo ha sequestrato tutti i suoi account, ma le ha anche proibito di crearne nuovi, pena una multa di 100.000 reais (circa ventimila euro). Temendo un colpo di mano che la facesse finire in carcere, Zambelli è scappata via dal Brasile, rifugiandosi negli Stati Uniti[6]. In Brasile, infatti, l’immunità parlamentare non è rispettata. Diversi deputati sono stati imprigionati per ordine del Supremo Tribunal Federal (STF) per aver criticato la faziosità della Giustizia.
Un altro caso inquietante è quello di Nikolas Ferreira de Oliveira, il più giovane deputato (26 anni) e il più votato del Paese, ovviamente col centro-destra. Egli ha avuto i suoi account sequestrati dal TSE per aver osato sollevare dubbi sull’imparzialità del Tribunale. Il suo caso è particolarmente irritante. Ferreira, infatti, è nato in una favela da genitori poveri, e si è fatto strada da solo. È un tipico rappresentante di quel “popolo” che il socialismo dice di difendere e che, invece, liquida quando non concorda con i suoi postulati.
Questo parti pris della Giustizia per Lula non è nemmeno più nascosto dietro un velo di ipocresia. Ieri, mercoledì 9, il Presidente eletto è stato ricevuto con una standing ovation dai membri del Supremo Tribunal Federal, la Corte di Cassazione.
Attenzione ai pacati!
Tutto ciò traccia un panorama assai inquietante. Facendo leva sul Potere giudiziario, nella stragrande maggioranza nominato dai Governi di sinistra, e del tutto indifferente all’autentica volontà del popolo, le ombre di una cupa dittatura socialista si stanno stendendo sul Brasile.
La settimana scorsa, per esempio, il vicepresidente del Supremo Tribunal Federal (STF, Corte di Cassazione), Luís Roberto Barroso, ha emesso una sentenza che limita fino a quasi cancellare in alcuni casi il diritto di proprietà, incurante del fatto che esso sia protetto dalla Costituzione[7]. Solo nell’ultima settimana, il TSE ha chiuso gli account social di tredici persone, tutte legate al campo conservatore. Qualcuno ha perfino proposto di imitare Nicaragua, che ha appena approvato una legge per cui diffondere fake news è diventato un reato punibile col carcere. E chi decide quale news è fake e quale, invece, true? Ovviamente il TSE e il STF…
Nonostante l’esiguità della sua vittoria, l’estrema sinistra sembra decisa a trasformare il Brasile in una dittatura socialista. Non è un caso che i primi a congratularsi col neo-eletto Presidente siano stati Nicolás Maduro, dittatore del Venezuela, Daniel Ortega, dittatore del Nicaragua, Kim Jong-un, dittatore della Corea del Nord e… il portavoce del gruppo terrorista Hamas, che ha definito Lula “un lottatore per la libertà” (sic)[8].
La sinistra, però, farà bene a stare molto attenta. In apparenza quieta e remissiva, la psicologia dei brasiliani è capace di feroci reazioni quando la si vuole portare verso indirizzi che rigetta. Saprà il Partito dei Lavoratori interpretare correttamente l’indole nazionale?
A tal proposito, diversi organi conservatori hanno riproposto un articolo di Plinio Corrêa de Oliveira dal titolo “Attenzione ai pacati!”. Siamo nel dicembre 1982. Nei tre più importanti Stati della Federazione – San Paolo, Rio de Janeiro e Minas Gerais – la sinistra aveva ottenuto importanti vittorie elettorali. Queste vittorie infiammarono l’estrema sinistra, che iniziò a parlare di rivoluzione.
Dopo aver analizzato la psicologia del brasiliano, tendente alla tranquillità, il pensatore brasiliano avvertiva: “Se la sinistra vorrà mettere in atto subito le cosiddette ‘rivendicazioni popolari’ di stampo socialista, se si mostrerà permalosa di fronte alle critiche dell’opposizione, se diventerà persecutoria (…) il Brasile si sentirà frustrato nel suo desiderio di pacatezza. Prima si allontanerà dalla sinistra, poi si mostrerà offeso e, infine, furioso. Allora la sinistra avrà perso la partita di popolarità. (…) Attenzione ai pacati che si indignano, signori della sinistra! Non è il tempo di mostrare sdegno. (…) I pacati tollerano tutto, tranne che la loro pace sia disturbata. Allora diventano facilmente feroci…”[9].
Sembra proprio ciò che sta accadendo oggi in Brasile.
[1] https://www.youtube.com/watch?v=cvgPonvurtM&feature=youtu.be
[2] https://www.facebook.com/100005700069311/posts/2903760323264753/
[3] https://creativedestructionmedia.com/analysis/2022/10/30/breaking-forensic-experts-suggest-mathematical-red-flags-in-first-round-of-brazilian-presidential-election-cites-benfords-law/
[4] https://www.google.com/maps/d/u/0/viewer?mid=1KDWDat6Do6vAisTkjwpx1Wd3YX7eRLk&g_ ep=CAESCjExLjU0LjM0MDMYAA%3D%3D&shorturl=1&ll=-12.174148154890515%2C-55.876272250000014&z=5
[5] https://oantagonista.uol.com.br/brasil/nao-vejo-explicacao-para-bolsonaro-ter-zero-votos-em-centenas-de-urnas-diz-vice-de-soraya-thronicke/?fbclid=IwAR3Pd5Y4tibrcUrHv_eG622FZPk2o4B5hXP80E4h7i9BE5XAet9lF4stbtY
[6] https://agoranoticiasbrasil.com.br/carla-zambeli-nova-medida-judicial-contra-a-deputada-gera-polemica/
[7] https://diariodopoder.com.br/justica/ttc-justica/stf-relativiza-direito-de-propriedade-dificultando-reintegracao-de-posse
[8] https://www.gazetadopovo.com.br/mundo/breves/hamas-parabeniza-lula-pela-vitoria-lutador-pela-liberdade/
[9] Plinio Corrêa de Oliveira, “Cuidado com os pacatos!”, Folha de S. Paulo, 14 dicembre 1982.