di Vittorio Acerbi
Costruire una chiesa non è lavoro di un giorno. Specialmente se l’edificio in questione è il duomo (ossia la chiesa principale) di Firenze: Santa Maria del Fiore. Aggiungeteci pure che parliamo di una cattedrale; in altre parole il centro spirituale di una diocesi, sede vescovile.
Alla costruzione di Santa Maria del Fiore (inizio 1296, consacrata 1436) hanno partecipato le maggiori personalità del tempo: Filippo Brunelleschi, Giotto, Francesco Talenti, Andrea Pisano. Primo artefice di tutto fu però Arnolfo di Cambio. Allievo di Nicola Pisano che tanto ha lasciato il segno a Pisa prima, e a Siena dopo insieme al figlio Giovanni.
La facciata del duomo, come la vediamo oggi, è frutto di un rifacimento iniziato il 22 gennaio 1587 con la distruzione della facciata originaria per volere del Granduca Francesco I de’ Medici (che tra l’altro morì nello stesso anno). Chi scrive queste righe è un estimatore del Granducato di Toscana; tuttavia non posso esimermi dal dire che qui fu commesso un vero e proprio scempio. Questo perché la facciata, suddivisa in tre registri, fu conclusa solo su due poiché Arnolfo morì durante i lavori dell’ultimo registro. E poiché la facciata rimase incompiuta (e lo sarà per moltissimo tempo e con molte bozze di vari artisti per il suo completamento), al Granduca non piaceva la colorazione della pietraforte. Per la cronaca: Palazzo Vecchio, Ponte Vecchio, San Lorenzo, Santa Maria Maggiore sono tutte opere in pietraforte (per citare le più celebri a Firenze). Attualmente la facciata di oggi è opera di Emilio De Fabris che la completò fra il 1880 e il 1887.
Sono poche le fonti di come doveva apparire la facciata di Arnolfo. Quella più esaustiva è un disegno di Bernardino Poccetti. Il programma iconografico che Arnolfo di Cambio voleva seguire era ovviamente legato alla figura di Maria. Le lunette dei tre portali ospitavano tre scene mariane: al centro, Maria in trono con il Bambino insieme a San Zanobi e Santa Reparata (Santa Maria del Fiore nasce appunto sulle fondamenta dell’antica cattedrale di Firenze, appunto Santa Reparata) che sono anche due dei patroni della città; ai lati si trovavano la scena della “dormitio” (poiché Maria non è morta ma si è addormentata dopodiché fu assunta in cielo) e della nascita di Gesù. Oltre a queste statue, ve ne erano altre che riprendevano scene dell’infanzia di Maria, molte altre di profeti e santi che oggi non fanno più parte del progetto iniziale della facciata. Fortunatamente oggi è possibile vedere una ricostruzione del progetto di Arnolfo al Museo dell’Opera del Duomo.
Quando Arnolfo iniziò la costruzione della cattedrale era già molto in là con gli anni e, quasi certamente, era consapevole del fatto che sarebbe morto prima di veder terminata la sua opera. Oggi viviamo in un’epoca frenetica dove ogni nostro lavoro deve essere finito, compensato finanche complimentato. Non per Arnolfo. La sua dedizione e la fede al progetto di rendere grazie a Dio andavano al di là di qualsiasi riconoscimento per il lavoro concluso.
Che cosa spinge un uomo a lavorare su qualcosa che non vedrà mai concluso? Il gusto del passo. Se c’è, ora, qualcosa che ti rende felice, non hai bisogno di conoscere l’esito.