Marco Tosatti
Quello che sappiamo finora dell’accordo segreto fra la Santa Sede e la Cina comunista lo dobbiamo al comunicato congiunto e all’articolo che Stefania Falasca, ben introdotta a Santa Marta ha scritto per Avvenire. Ne riportiamo una parte:
“Si tratta di un accordo storico che non riguarda dunque le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese ma l’annosa questione delle modalità di selezione e nomine vescovili. Una questione essenziale e cruciale per la vita della Chiesa in Cina perché rende possibile per tutti i vescovi cinesi di essere in comunione con il Papa e per milioni di fedeli cattolici di far parte di un’unica comunità. Con questo atto, infatti, le parti hanno concordato il metodo di una soluzione condivisa: la Santa Sede accetta che il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica, mentre il governo cinese da parte sua accetta che la decisione finale, con l’ultima parola sulla nomina, spetti al Pontefice e che la lettera di nomina dei vescovi sia rilasciata dal Successore di Pietro”.
Come comunicato nella nota informativa diffusa dalla Sala Stampa vaticana, «al fine di sostenere l’annuncio del Vangelo in Cina», papa Francesco ha deciso «di riammettere nella piena comunione ecclesiale anche i rimanenti vescovi “ufficiali” ordinati senza mandato pontificio». L’accordo definisce quindi anche i termini della legittimazione canonica dei sette vescovi che erano stati ordinati senza l’approvazione del Papa compresi quelli per i quali era stata dichiarata la pena della scomunica, e da adesso, tutti i vescovi cinesi saranno ordinati in piena e pubblica comunione gerarchica con il Papa. Così «per la prima volta oggi tutti i vescovi in Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma» ha affermato il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin nella sua dichiarazione diffusa dalla Sala Stampa in riferimento alla firma e agli obiettivi dell’accordo”.
E subito due invitati cinesi verranno al Sinodo. Un amico cinese ci ha fornito una descrizione dei due presuli:
Yang Xiaotin, ha studiato all’Urbaniana come allievo del Collegio San Pietro di Roma, poi ha proseguito gli studi negli USA. È stato fatto vescovo non per la sua diocesi originaria perché non è stato accolto dai sacerdoti confratelli; quindi si è trasferito in un’altra. Si è iscritto all’Associazione Patriottica e ne è diventato un protagonista. In occasioni pubbliche, ha glorificato il regime ripetendo gli slogan delle tre autonomie.
Guo Jincai, uno dei sette scomunicati per ordinazione illegale e legittimato dal papa ha frequentato il seminario di Shijiazhuang, Provincia Hebei. E’ il segretario generale della Conferenza dei Vescovi cinesi, posto chiave per il controllo della Chiesa presente in Cina da parte del regime. Secondo quella che l’esperienza delle comunità religiose su scala nazionale, il Partito ateo mette una figura di estrema fiducia al posto di segretario generale, un agente segreto o un membro del partito che sia, e che comunque deve rispondere fedelmente ai suoi superiori.
Dalla descrizione che ci viene fatta al Sinodo dunque avremo due persone di apparato.
Ma è interessante prendere visione anche della testimonianza vissuta in Cina a livello più basso, per capire quale sia il livello di ingerenza e di controllo. Un amico cinese ci racconta:
“Tre sacerdoti cinesi hanno raccontato le loro storie vissute con il regime comunista cinese che attraverso la polizia segreta che controlla tutte le religioni e tutti i sacerdoti.La polizia invitò un sacerdote a cena. A un certo momento, li mostrarono foto di ragazze nude e chiesero al povero prete se gli piacessero.
La polizia invitò un sacerdote a cena. A un certo momento entrò una ragazza nuda, forse prostituta, che tentò il povero prete, mentre gli agenti lo guardavano ridendo.
La polizia chiamò al “colloquio” un sacerdote che aveva commesso un atto sessuale con una donna. Gli fu mostrato il video registrato del suo incontro. Solo la promessa incondizionata alla “collaborazione” salvò il povero prete dallo scandalo, e anche da una probabile condanna penale”.
(Nella foto, oltre a moglie e figlia dell’interessato, si vedono colleghi del Partito e dei Servizi…).
Non credo ci voglia molta immaginazione per pensare che un prete del genere potrebbe essere un perfetto candidato, scelto dal basso, naturalmente, per una carica episcopale. Chi ha scheletri nell’armadio e non solo nella Cina comunista, ma anche nella Chiesa (il caso McCarrick, e non solo, lo testimonia) è un utile strumento nelle mani del vertice.
E tocchiamo un momento il tema interessante, accennato da Falasca, secondo cui “il processo di designazione dei candidati all’episcopato avvenga dal basso, dai rappresentanti della diocesi anche con il coinvolgimento dell’Associazione patriottica”.
Interessante. Ma perché solo in Cina? Facciamolo anche da noi. È quello che associazioni come “Noi Siamo Chiesa” propongono da tempo. Hanno già pronto il sistema.
“La proposta sulla nomina dei vescovi che avanzo, che è poi molto simile a quella di diversi teologi cattolici, è la seguente. Quando si rende vacante un seggio episcopale, un legato nominato dal papa (può anche essere un vescovo) convoca e presiede un collegio elettorale, costituito da: tutti i sacerdoti della diocesi, anche quelli che non sono parroci; tutti i diaconi della diocesi; tutti i componenti laici del consiglio pastorale diocesano; un rappresentante laico di ogni consiglio pastorale parrocchiale.
Questo collegio si riunisce per un’intera giornata dedicata alla preghiera, alla riflessione e all’invocazione dello Spirito Santo. Alla fine della giornata si procede all’elezione a scrutinio segreto e viene eletto chi ha riportato almeno i due terzi dei voti. Nel caso in cui nessuno riporti i due terzi dei voti, si procede usando la stessa procedura in vigore per l’elezione del papa. Può essere eletto vescovo di una diocesi qualunque sacerdote, anche di un’altra diocesi, che abbia almeno trenta anni di età e cinque anni di sacerdozio.
È chiaro che l’elezione non deve prevedere precedenti formali candidature. E ciò per evitare che qualche candidato poi non eletto si senta “bocciato”. In realtà, sembra questo uno dei motivi che induce la Curia romana a mantenere l’attuale sistema di segretezza. Ma tale motivo viene a cadere nel momento in cui, non essendoci candidati, non possono esserci neanche “bocciati”.
Un altro motivo che viene addotto da qualcuno per mantenere l’attuale sistema è la presenza di possibili divisioni nelle diocesi e nel clero locale. Ma si tratta di un motivo che appare insufficiente, perché le diversità di opinioni e valutazioni, come possono esistere localmente all’interno della diocesi, così possono esistere (e negarlo sarebbe come nascondersi dietro un dito) all’interno della Curia romana.
Riguardo ai trasferimenti di un vescovo da una diocesi a un’altra, essi sarebbero sempre possibili, purché un vescovo eletto in una diocesi possa rimanervi un certo numero di anni.
Sono certo che un tale sistema di nomina riavvicinerebbe il vescovo ai fedeli della diocesi, stabilirebbe un rapporto migliore della gerarchia con i laici, e contribuirebbe a mostrare meglio a tutti la Chiesa come popolo di Dio”.
Interessante, no? Potremmo aggiungerci però, per non fare ingiustizie, anche qualche rappresentante dei partiti e delle amministrazioni laiche. Che certamente sarebbero molto più laiche dell’Associazione Patriottica (emanazione del Partito Comunista).
Qualcosa ci dice che non lo faranno. Se no, magari, potrebbe scapparci qualche vescovo di quelli ora cassati perché non abbastanza mondialisti, progressisti, migrantisti e pauperisti. E magari anche cattolici.
Un paio di considerazioni anche sul modo. La Chiesa del rinnovamento e della trasparenza sigla un accordo con uno dei regimi più dittatoriali e disumani del XXI secolo e lo tiene segreto? E questi sarebbero il rinnovamento e la trasparenza? Il Vaticano tradisce – secondo tutte le apparenze – vescovi, preti e sacerdoti che hanno conosciuto sofferenze, prigione, e persino il martirio per restare fedeli a Roma, al Pontefice, e soprattutto alla libertà che la fede in Cristo promette, e che il Vicario di Cristo dovrebbe (ma il condizionale è più che d’obbligo) difendere? E tutti gli araldi e trombettieri della non discriminazione e delle libertà e dei diritti nella Chiesa o applaudono, o restano in un silenzio imbarazzato? Non c’è dubbio che si tratti di un accordo storico; ma c’è il pericolo che entri nella Storia come uno dei momenti più vergognosi della cronaca della Chiesa cattolica, un accordicchio in cui a parte protagonismi personali ad ogni livello (un viaggio a Pechino val bene una chiesa?) non si riesce a vedere neanche il piatto di lenticchie.
Sulla questione dei precedenti (Spagna, Portogallo, giuseppinismo, in cui lo Stato diceva la sua sui vescovi), precedente citato anche dal Pontefice, probabilmente su consiglio maldato da qualcuno, c’è solo da chiedersi quando mai la Cina è stata retta da “maestà cattolicissime” che avevano giurato di difendere – non solo a parole – la religione cristiana. Precedenti di uno Stato ateo che indichi le designazioni episcopali non ne abbiamo. Ma c’è sempre una prima volta, purtroppo.
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