di Luisella Scrosati
Tratto da: La Nuova BQ
I risultati della Commissione sugli abusi sessuali nella Chiesa francese sono gravi, ma il sospetto è che si voglia ricattare la Chiesa: il numero elevato deriva da stime, l’ingerenza del frequentatore della Loggia Sauvè, che ha presieduto la Commissione, su viri probati è sospetta perché non coglie la causa principale: l’omosessualità. Il rischio che ad essere toccata sia la confessione.
La parola d’ordine è ragionare, non gridare allo scandalo e nemmeno ridimensionare. I risultati della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella Chiesa francese sono certamente gravi, ma l’impressione che ne deriva leggendo i giornali non rende ragione della verità. Anzi. Il sospetto è che si voglia gridare allo scandalo per evitare di mettere mano seriamente alla piaga ed umiliare la Chiesa, ricattandola di accettare qualsiasi “soluzione” provenga dal consesso laicista.
Anzitutto i 216 mila casi, e i 2900-3200 sacerdoti predatori, occorre ricordarlo, non sono dati reali, ma stime, proiezioni. Probabili, d’accordo, ma pur sempre non accertati. Non è nemmeno chiarissimo di quali precisi delitti si siano macchiati i colpevoli. Inoltre rappresentano circa il 4% dei casi totali di abuso. Sempre troppo, senza dubbio, ma attenzione che non sia chi detiene il 96% dei casi a farci la morale.
Ad essere invece estremamente chiaro è che la stragrande maggioranza dei sacerdoti abusatori ha dichiarato di essere omosessuale o bisessuale; dato confermato dal fatto che circa l’80% delle vittime sono di sesso maschile. Non si può continuare a nascondersi: l’omosessualità nel clero è il fattore di rischio maggiore di abusi su minori. Per questa ragione una certa indulgenza su un tale “orientamento sessuale”, per lo meno all’interno dei seminari e del presbiterio, non deve più trovare posto. Se veramente si vuol mettere mano a questa piaga, occorre far saltare la rete di coperture di preti e seminaristi omosessuali, una copertura che rende possibile un fatto come quello della diocesi di Cleveland (vedi qui). Padre Robert McWilliam, 41 anni, ordinato nel 2017 ed arrestato nel dicembre 2019, due anni dopo l’ordinazione, per sfruttamento sessuale di minore e pornografia con il coinvolgimento di bambini. Il sacerdote era anche assiduo frequentatore di un social network di omosessuali, bisessuali e transgender. In sei anni di seminario, nessuno si sarebbe accorto di nulla. Molto strano.
Eppure quello di vigilare sulla piaga dell’omosessualità nella Chiesa non compare tra la lista dei consigli elargiti dal Presidente della Commissione, il Vice Presidente del Consiglio di Stato Jean-Marc Sauvé, che risulta, tra l’altro, frequentatore della Gran Loggia (vedi qui). Il quale invece non esita a trasformarsi nel corifeo laicista del peggio del Sinodo sull’Amazzonia. Perché mai l’opzione dei viri probati dovrebbe costituire una soluzione del problema degli abusi sui minori tra il clero? Dal momento che i sacerdoti e i religiosi corrispondono a circa il 4% dei casi totali e che buona parte degli abusi si verificano all’interno dei contesti famigliari, perché mai quella dei preti sposati dovrebbe essere una soluzione? La via d’uscita proposta da Sauvé, oltre a non tener conto della realtà sacramentale della Chiesa – e la colpa è sua solo in parte, dal momento che è stata la Conferenza Episcopale Francese a dargli carta bianca – non tiene nemmeno conto del fatto che la scelta celibataria incide solo su una piccola percentuale del totale degli abusi.
Ancora più grave è l’altra ingerenza di Sauvé, che non esita a mettersi sotto i piedi un punto estremamente delicato e irrinunciabile della vita sacramentale della Chiesa: il sigillo confessionale, con la conseguenza dell’obbligo di segreto. “Questo segreto, che non ammette eccezioni, si chiama il ‘sigillo sacramentale’, poiché ciò che il penitente ha manifestato al sacerdote rimane ‘sigillato’ dal sacramento” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1467). Il sigillo è ritenuto dal Concilio Lateranense IV di diritto divino; San Tommaso ne spiega la ragione: il sacerdote agisce come ministro di Dio ed è pertanto tenuto a fare come Dio stesso, il quale non rivela il peccato confessato. La richiesta di Sauvé di un bilanciamento tra il bene privato del penitente ed il bene della collettività non tiene conto di una realtà ben più grande, ossia il bonum sacramenti.
E’ in virtù dell’essenza del sacramento della penitenza che il sigillo non può mai essere violato, senza alcuna eccezione, qualunque sia la pressione dell’autorità civile. Sauvé difetta anche di buon senso: secondo lui, qualora la Conferenza Episcopale Francese, presa dal delirio, dovesse sollevare illegittimamente i sacerdoti dal sigillo sacramentale, ci sarebbe ancora qualcuno che andrebbe a confessarsi, soprattutto di certi peccati che si configurano anche come delitti civili e penali?
E’ chiaro pertanto che i consigli di Sauvé sono pretestuosi: non risolvono di una virgola il problema, ma nel contempo cercando di spingere su riforme interne della Chiesa che ne minano la struttura sacramentale. Bisognerebbe essere un po’ più attenti ad affidare a personaggi del genere questioni tanto delicate. E’ il minimo che si possa dire.