di Gildo della Querce
«Serva ordinem et ordo serbavit te» recita un antico adagio, che, in chiave cristiana, esorta il credente a spendersi affinché il mantenimento di un generale equilibrio personale possa a sua volta custodire la persona ordinata al proprio fine. Questa massima, il cui potenziale ha una profondità che va ben oltre la perifrasi testé offerta, certamente può riferirsi all’ordine delle realtà temporali, anche politiche, in grazia di quella mirabile definizione che Sant’Agostino attribuisce al diritto, «tranquillitas ordinis».
In quest’ottica, l’ordo di agostiniana memoria, ripreso a sua volta dall’Aquinate, si riferisce precisamente a quell’ordinamento, stabilito dal Creatore, in cui ogni cosa nell’universo ha e trova la propria collocazione, intesa come naturale e potenziale dimensione per giungere al fine ultimo, che altro non può essere se non Dio stesso. A questo concetto, infatti, è strettamente correlato quello di giustizia, intesa come «unicuique suum tribuere».
Tuttavia potrebbe capitare, specie in questi ultimi tempi, che qualche ignaro credente, o perfino qualche probo sacerdote, confonda il terrestre col Celeste, scambiando gli attuali reggitori delle sorti italiche con le schiere di cherubini e serafini che vigilano sul Regno dei cieli. E l’errore potrebbe anche essere scusabile per coloro che, in buona fede, pensassero di affidarsi legittimamente ai governanti, convinti dall’asserito retto agire degli stessi.
In ogni caso, non sembra altrettanto degno di giustificazione l’ardimento di un prete che, di questi ultimi tempi, dove la salute spirituale del prossimo sembra tanto urgente quanto, invece, considerata irrilevante dai soloni di cui sopra, si spinga a pubblicare un atto di accusa nei confronti di coloro che, rosario alla mano, intendono pacificamente manifestare la propria disapprovazione verso un Leviatano, divenuto ormai onnivoro di diritti. Non pago di rendere ad altri fedeli il proprio disprezzo, il nostro Angelo, ecCitato giustiziere apocalittico, conferisce agli stessi la censura della cristiana incoerenza, dal momento che sarebbe più opportuno «rispettare la legge e le forze dell’ordine».
Sommessamente, sembrerebbe di gran lunga più confacente ad un sacerdote cattolico, invece di prodigarsi in patetici peana del governo, quasi idolatrando l’ordine in quanto costituito, dedicarsi a ricondurre a ben altro Ovile quanti mugghiano dietro al profeta di turno, sebbene bisognosi di udire nuovamente la voce di Colui che, amate pecorelle, le chiama ciascuna per nome.