di Giovanni Tortelli
Marco Solfanelli ci ha regalato l’edizione italiana di un’opera che nacque originariamente come testo di una conferenza tenuta a Parigi il 15 marzo del 1990 dal monaco francese Hilaire de Jésus sugli ultimi anni di vita del «Piccolo Re» di Francia Luigi XVII (Hilaire de Jésus, La vera storia e il martirio del Piccolo Re di Francia Luigi XVII, con presentazione di Pucci Cipriani e contributo di don Carlo Cecchin, Solfanelli, Chieti 2021, pp. 84 euro 8).
Pucci Cipriani ha presentato questa novità letteraria nel 226° anniversario della morte di Luigi XVII (8 giugno 1795); ma non solo, lo ha fatto nell’ambito del “I Convegno della Tradizione cattolica del Granducato di Toscana nel 450° anniversario della battaglia di Lepanto” tenutosi nel verde del Mugello il 2 luglio di quest’anno. Degna cornice culturale, còlta sapientemente dal professor Cipriani per la presentazione di questa «storia autentica» degli ultimi anni di vita del piccolo Luigi, che certamente andrà ad arricchire il patrimonio culturale non solo dei Convegnisti ma anche di tutti quei seguaci della Controrivoluzione che si identificano nell’ANTI 89.
Già, perché i due elementi si collegano inscindibilmente. Quella conferenza di frère Hilaire del marzo 1990 fulminò a tal punto Pucci Cipriani da indurlo a fondare anche in Italia, a Firenze, un movimento simile a quello francese, che avesse i connotati di una continua revisione storico-critica della «maudite Révolution». È noto infatti che fr. Hilaire de Jésus appartiene al movimento chiamato Lega della Controriforma Cattolica nato in Francia e guidato fino al 2010, anno della sua morte, dall’abbé Georges de Nantes.
Dunque è proprio da quella conferenza davanti a un foltissimo pubblico di studiosi e accademici francesi e italiani (che Cipriani elenca uno a uno nella sua Presentazione), nella quale si parlò del martirio del Piccolo Re, che Pucci Cipriani – insieme agli altri accademici – volle far nascere anche in Italia, a Firenze, quel sodalizio grazie al quale noi ora siamo qui a ricordare e a documentare non solo la passione e il martirio del piccolo Capeto, ma le nefandezze di una Rivoluzione di cui non si finirà mai di dire e di scriver male.
Voglio aggiungere che dalla fondazione ad oggi, il movimento ANTI 89, ha visto sempre più incrementarsi il numero dei seguaci e dei simpatizzanti, segno che oggi più che mai c’è bisogno – anche da parte dei giovani – di ristabilire la verità storica di quei tragici avvenimenti che colpirono la Francia nell’acme della Rivoluzione e oltre. Un’epoca che la storiografia di regime e di sinistra ha monopolizzato e manipolato nel segno del “progresso”, della “civiltà”, dei “diritti umani”, che sarebbero stati favoriti proprio dagli ideali rivoluzionari della libertà, fraternità ed uguaglianza.
La storia autentica dice invece che quella della Rivoluzione francese fu una delle epoche più tragiche attraversate non solo dalla Francia ma dall’Europa tutta, un’epoca gravida di conseguenze negative i cui frutti nefasti sono venuti a maturazione lungo due secoli e che oggi e si manifestano visibilmente nel disprezzo della vita e della dignità umana, tramite le leggi sull’aborto e sull’eutanasia disseminate nelle legislazioni di ogni paese; nel dissolvimento della famiglia, tramite le leggi sul divorzio e sulle così dette unioni civili; nell’imposizione di una falsa identità “di genere”, oscurando il diritto naturale e le radici cristiane del Continente fondate sui principi di identità e di non contraddizione; nell’imposizione di un pensiero unico, umanista, ateo, ambientalista, che tenta di disgregare, svuotare e disprezzare la missione salvifica della Chiesa cattolica garantita dallo stesso NSGC. Complici di questo sfacelo ecclesiale soprattutto gli uomini della Chiesa che l’hanno guidata e governata in questo sessantennio dall’ultimo Concilio e che le hanno fatto imboccare la via di un divenire ideologico in cui si sembra aver perduto le antiche vie maestre tracciate dai Padri e dall’Aquinate. Certo, gli avversari della Chiesa – i princìpi rivoluzionari, di ogni rivoluzione, che pure sono entrati nelle sacre mura – non praevalebunt, ma prima, già ora, c’è da patire e da lottare.
Ecco, questi sono alcuni dei frutti della Rivoluzione francese, la quale ha proliferato un verminaio che – in forza delle imprese napoleoniche – contagiò tutta l’Europa.
Ed ecco perché un sodalizio come ANTI 89 fa bene alla salute spirituale e intellettiva, perché siamo stanchi di questi falsi valori propagandati da vuote celebrazioni che si ripetono ogni 14 luglio; stanchi di studiarli generazione dopo generazione su tutti i libri di scuola; stanchi di sentirli sulla bocca di politici demagoghi e illusionisti della retorica che parlano di una “democrazia” inesistente e irrealizzata; stanchi di essere ammaestrati su questi falsi valori da tutta la cultura benpensante e allineata, di fatto impegnata in quell’opera di “rieducazione” di tipo sovietico che fu il metodo gramsciano di insegnamento della storia.
Ed allora ben venga questo libro di Hilaire de Jésus finalmente editato grazie al professor Cipriani anche in italiano sugli ultimi, tremendi anni di vita del piccolo Capeto. Istruttivi davvero, per capire cosa fu la Rivoluzione francese.
Dall’agosto 1792, aveva appena sette anni, il piccolo Luigi fu segregato con tutta la Famiglia reale nella Torre del Tempio, un tempo sede dei Templari; poi separato dalla madre, dalla sorella e dalla zia, in seguito separato anche dal padre e lasciato solo.
Alla morte di Re Luigi XVI il 21 gennaio 1793, il piccolo Re ascese al trono di Francia che per lui consisteva in una cella di quattro metri e mezzo per cinque di superficie, “dove tutte le finestre sono sbarrate e delle tavole, inchiodate dall’esterno, lasciano filtrare la luce soltanto dall’alto, impedendo così di spingere lo sguardo all’infuori” (p. 27).
Fu quindi affidato a un infame sanculotto e alla di lui moglie e da loro umiliato, seviziato, irriso e spogliato di ogni dignità. Il fine dei rivoluzionari, dello stesso Robespierre e dei suoi sgherri Hébert e Chaumette incaricati di sovrintenderne la custodia, era chiaro: serviva arrivare alla somma umiliazione di tutta la Famiglia Reale o di quel che ne restava, attraverso la rieducazione forzata del piccolo Re per farne l’accusatore principale della Regina sua madre e delle Principesse di Sangue. Un piano diabolico quanto perfetto: la completa dissoluzione della Famiglia Reale per autoannientamento.
Serviva l’annichilimento totale e totalmente umiliante non solo della regalità come Istituzione, ma anche dei singoli componenti della Famiglia Reale, uno per uno.
L’opera di rieducazione ai princìpi rivoluzionari del Piccolo Re da parte della diabolica coppia di aguzzini – i coniugi Simon – durò circa due anni. Inculcati a forza con lavaggi sistematici del cervello e con sevizie di ogni genere: dalla separazione dai genitori, alla rasatura dei capelli, al fargli indossare le vesti e il berretto frigio dei sanculotti, alle deplorevoli condizioni igieniche, alle botte e alle percosse, alle forti ubriacature e a pasti dissennati alternati a dei pesanti digiuni che lo resero obeso, dipendente dall’alcol, debolissimo.
E insieme a tutto questo, la sottomissione alle oscenità, alle bestemmie, agli atti impuri, alla falsa rappresentazione fino alla ripetizione ossessiva che la Regina sua madre, la sorella Maria Teresa e la principessa Elisabetta avessero violato in più occasioni la sua innocenza.
Lui, il piccolo Capeto ancora abituato ai giochi dei bambini e con l’inclinazione – che la madre Maria Antonietta conosceva bene fin da quando il bimbo l’aveva manifestata in tenerissima età– a ripetere e ad imitare innocentemente e senza malizia i discorsi e gli atteggiamenti degli altri. Fu proprio questa la leva con la quale i due diabolici aguzzini riuscirono a svuotarlo di ogni identità e volontà propria, fino a farne l’accusatore principale degli atti ignobili e osceni quanto falsi di cui vennero accusate la madre, la sorella e la zia, la Regina e le Principesse di Sangue.
Significativa a un certo punto l’osservazione di Hilaire de Jésus: “Profanare i Re, profanare le Regine, questi esseri sacri, è come mettere il marchio della Rivoluzione (…) è una sfida di demòni: profanare non solo i morti ma anche i vivi” (p. 35).
La cronaca racconta che “la mattina del 16 ottobre, Maria Antonietta, alla quale era stato vietato di vestirsi di nero, indossò un abito bianco: nessuno ricordava che, un tempo, il bianco era il colore del lutto per le regine di Francia. Successivamente Charles-Henri Sanson, il boia, dopo averle tagliato i capelli fino alla nuca, le legò le mani dietro la schiena. Accompagnata da un prete costituzionale che ignorò fino alla fine, la Regina fu portata fuori dalla prigione e fatta salire sulla carretta dei condannati a morte. Seduta impettita, le mani legate dietro la schiena, i capelli tagliati rozzamente e uno sguardo immobile e iniettato di sangue così, Jacques-Louis David, a quei tempi giacobino e in seguito pittore di corte di Napoleone ritrasse la regina in uno schizzo”.
Arrivata in Place de la Révolution, salì rapidamente i gradini del patibolo. Si racconta che involontariamente pestò un piede del boia, al quale disse: «Pardon, Monsieur. Non l’ho fatto apposta». Alle 12.15 la lama le cadeva sul suo collo. Il boia prese la testa sanguinante e la mostrò al popolo parigino, che gridò «Viva la Repubblica!»” (pp. 44-46).
La democrazia nasce così.
Racconta ancora Hilaire de Jésus: “Cos’avvenne del fanciullo? Fu murato vivo” (p. 54). Madame Royale, Maria Teresa, la sorella primogenita del Piccolo Re, racconta il martirio del Piccolo Re suo fratello: “Barbarie inaudita di abbandonare un bambino sventurato, di otto anni, solo, chiuso sotto chiave e catenaccio dentro una cella, senz’altro soccorso che quello di un campanello, ch’egli non tirò mai, preferendo mancare di tutto piuttosto che supplicare i suoi persecutori. Mio fratello giaceva in un letto che non veniva rifatto da sei mesi e che non aveva la forza di mettere in ordine: cimici e pulci o coprivano, i suoi indumenti e la sua persona ne rigurgitavano” (p. 55).
Robespierre elimina tutti i suoi avversari, il Terrore imperversa. Nella notte fra il 23 e il 24 maggio 1794, Robespierre fa visita a Luigi XVII e lo conduce a Meudon per poi riaccompagnarlo nella sua prigione la notte seguente. Il suo intento era quello di dimostrare alla folla come ci si poteva impadronire di un Re-fanciullo.
Dice Hilaire de Jésus che nella visita alla Torre, Robespierre “vede anche la sorella del Re, gettandole quello sguardo protervo (…) con cui contempla l’incarnazione della monarchia decaduta, quel piccolo Sovrano, erede avvilito di una stirpe di Re da lui tanto aborrita” (p. 61- 62).
Ma anche dopo che Robespierre, l’«Incorruttibile», fu messo a morte il 28 luglio 1794, la sorte del Luigi XVII non cambiò: restò prigioniero nella Torre, custodito da cinquecento uomini e si susseguirono le infami perquisizioni della Convenzione sul prigioniero: “La Convenzione è ben lungi da qualsiasi idea di migliorare le condizioni di prigionia dei figli di Capeto o di affidarli a istitutori. I Comitati e la Convenzione sanno come si fanno rotolare le teste dei re, ma ignorano come si educhino i loro figli. Il figlio di Capeto sarà umiliato” (p. 69).
Si aprì a questo punto, fra i facinorosi, il problema dell’esecuzione o della prigionia perenne del piccolo Capeto.
Tuttavia, con la fine di Robespierre, le cose cambiarono: sembrava esserci maggiore pietà per il piccolo Luigi, anche se il piccolo era sempre più stremato.
E purtroppo ci si avvicinava alla fine. Il fanciullo, già colpito negli ultimi mesi del 1794 da febbri collassanti, non ce la faceva più nemmeno a camminare. Ormai si temeva per la sua vita anche da parte dei nuovi sorveglianti. Luigi venne trasferito in un ambiente un poco più aerato ma nella notte fra il 7 e l’8 giugno 1795 le sue condizioni si aggravarono. Il mattino dell’8 giugno le sue condizioni erano gravissime: “La povera anima soffre molto, il ventre è contratto e dolorante” (p. 76).
Dopo pochi attimi il Re moriva. Quattro medici procedettero all’autopsia e il referto evidenziò “diversi tumori, turgidi di materia puriforme e di sostanze linfatiche, nelle ossa negl’intestini, nello stomaco e grandi quantità di tubercoli. Nessuna traccia di veleno” (p. 77).
Il corpo venne interrato in una fossa comune. Davanti a delle identificazioni non certe, il saggio Re Luigi XVIII di Francia dichiarò in seguito che sulle spoglie di Luigi XVII dovesse cadere il silenzio.
Nell’omelia che don Carlo Cecchin pronunciò nella chiesa di Saint Nicolas du Chardonnet il 14 luglio 1989 nel bicentenario della Rivoluzione – e che viene riportata fedelmente nell’Introduzione – il prelato ebbe a riportare un pensiero a dir poco imponente e che, se si vuole, riassume l’intera epopea rivoluzionaria: la Rivoluzione francese parla in prima persona e dice “che se le si toglie la maschera essa non è né Marat, né Robespierre, né Mazzini, né Kossuth. Essi sono solo ombre, ma non sono la Rivoluzione. La Rivoluzione è invece “odio di ogni ordine che l’uomo non ha stabilito”. Dunque la Rivoluzione è odio per l’ordine divino e di ogni ordine costituito sull’ordine divino. La Rivoluzione è proclamazione dei diritti dell’uomo in dispregio dei diritti di Dio, quindi è umanista, atea, acefala e antigerarchica per principio; essa è “fondazione di un ordine religioso e sociale sulla volontà dell’uomo al posto della volontà di Dio”, ed è quello che vediamo oggi nel neoumanismo della Chiesa e dei popoli, di cui la Chiesa si fa portavoce; la Rivoluzione “è Dio detronizzato e l’uomo al suo posto”, e lo vediamo ogni giorno con la desacralizzazione dei Sacramenti, dell’Adorazione e soprattutto dell’Eucaristia nel sacro e santo rito della Messa di sempre sostituita da un rito riformato.
Ringraziamo l’Autore Hilaire de Jésus che ci ha riportato le memorie autentiche del tempo. Ringraziamo l’editore e il prefatore che con la loro intuizione e lungimiranza hanno attualizzato degli avvenimenti che sono monito anche per il presente e preghiamo e veneriamo la Vergine della Vittoria nella battaglia di Lepanto, Auxilium christianorum, anche per questa nostra odierna battaglia perché la Chiesa resti fedele alle sue autentiche radici dogmatiche, magisteriali e dottrinali.
Giovanni Tortelli