Tratto da: https://www.destra.it/home/cronache-di-strapaese-sulle-orme-di-mino-maccari-e-giovannino-guareschi/
di Franco Maestrelli
Se fosse vissuto nei primi del Novecento Pucci Cipriani avrebbe fatto parte del gruppo di artisti e intellettuali che assieme a Mino Maccari diedero vita al movimento e alla rivista Strapaese. Li unisce l’essere toscani, anti-moderni e la frenetica attività culturale. Ma poiché è nato nel 1945, è vissuto in una Toscana feudo rosso in cui c’era spazio solo per chi operava nella cultura sotto l’egida del Partito Comunista. Come Maccari, Cipriani è il cantore del “mondo piccolo” del suo borgo natio, delle famiglie patriarcali di un tempo, della buona tavola e dei riti liturgici ormai dimenticati.
Attivo fin da adolescente nelle fondazioni di circoli e associazioni cattoliche e fieramente anti-comuniste è il meritorio fondatore dell’Anti89, associazione culturale dedicata alle contro-celebrazioni del bicentenario della nefasta Rivoluzione francese e direttore dell’organo dell’Anti89, la rivista quadrimestrale Controrivoluzione. Questo volume completa la trilogia iniziata nel 2005 con L’altra Toscana. Diario di un conservatore e proseguita nel 2013 con La memoria negata. Appunti per una storia della tradizione cattolica in Italia.
In questo libro Pucci Cipriani, dopo i precedenti che raccontano le sue memorie politiche, si dedica a quella che potremmo definire “un’operazione nostalgia” rivolta ai ricordi della sua infanzia e della sua gioventù. Ricordi che ripercorrono il calendario delle feste che un tempo, neanche tanto lontano, segnavano lo scorrere dell’anno. Sono i ricordi di un bambino di un piccolo borgo nel Mugello ma che appartengono anche a tutti i bambini dell’epoca: Ognissanti e la Commemorazione dei defunti con le visite al cimitero, le preghiere per i propri cari e, trovandoci in terra toscana, le Confraternite della Misericordia con le cappe nere, le buffe e le torce. La scuola di allora celebrava queste ricorrenze con delicate poesie che sottolineavano la comunione dei viventi con i trapassati abituando i bambini al pensiero della morte che oggi invece viene respinto in ogni sua manifestazione. Oggi le mamme si preoccupano di allontanare dai pargoli ogni pensiero lugubre ma, al contempo, li travestono da spettri e scheletri per festeggiare in scuole e oratori Hallowe’en.
Si passa poi a ricordare il multicolore mondo dei mercati e delle feste di paese. Centri commerciali e supermercati erano ancora da venire e per apparecchiare il desco famigliare, oltre alle poche botteghe, c’era il mercato con i suoi prodotti di stagione. Accanto alle bancarelle di frutta e verdura pittoresche figure di altri tempi che proponevano improbabili rimedi per calli e duroni, talvolta utilizzando come richiamo la scimmietta ammaestrata.
Cipriani descrive poi le sagre paesane con imbonitori e cantastorie. La televisione muoveva i primi passi e le fiction si vedevano sulla piazza del mercato attraverso il racconto di storie truci o comiche a seconda dell’estro dell’artista di strada. E dal “pianeta della fortuna” offerto dal pappagallino si passa poi agli spettacoli del circo oggi demonizzati dall’ideologia animalista. L’autore poi non dimentica il teatro vernacolare a cui lo stesso Cipriani in gioventù prestò la sua opera.
In questo viaggio nel tempo da buongustaio non manca di ricordare la cucina di quegli anni. Una cucina povera, di ingredienti a chilometro zero, come si dice oggidì, Una cucina legata al periodo dell’anno e alle festività liturgiche. In autunno si ammazzava il porco e sulle tavole di famiglie allora felicemente numerose era un trionfo di capocotto, salame, ciccioli e salsicce. Nulla dell’animale andava sprecato. A Pasqua c’era l’agnello coi piselli: ora è arrivata Maria Vittoria Brambilla e l’agnellino finirà ad avere diritti costituzionali… I bambini attendevano le feste per gustare i dolciumi genuini: castagnaccio, ballotte e cenci.
Un capitolo anche in questo libro è dedicato ai ricordi politici borghigiani dell’autore: l’adesione alla Giovane Italia negli anni Sessanta, l’innamoramento per la Monarchia, gli scontri con il PCI allora egemone nella zona. Scontri però come quelli di don Camillo e Peppone. Le aggressioni violente verranno dopo il Sessantotto. La cronaca di quegli anni è anche intervallata da ritratti di figure che paiono tratte dai libri di Giovannino Guareschi, di cui Pucci Cipriani è appassionato lettore, come il vecchio prete tradizionalista del piccolissimo borgo arrampicato sulla montagna ai confini con l’Emilia o la vecchia Desolina che ebbe, in morte, le sue campane a morto e il rito in latino. Poiché Cipriani è stato insegnante non mancano nel volume le poesie che venivano fatte imparare a memoria nelle scuole elementari, quelle di Pascoli, Carducci e Gozzano, anch’essi cantori di quel mondo piccolo. Pucci Cipriani è editore, organizzatore di convegni e di impegno politico ma qui rivela la sua vena di malinconica nostalgia per il tempo in cui “ancora c’era la fede e si pregava in latino.”
Pucci Cipriani, Dal Natio borgo selvaggio. Quando ancora c’era la fede e si pregava in latino. Presentazione di Massimo de Leonardis e postfazione di Cosimo Zecchi. Edizioni Solfanelli, Chieti. Pagine 271. Euro 19
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