Tratto da: Quaderni del Covile n.403 del 4 luglio 2007

Avevo promesso di tornare sugli effetti della Lettera sulla scuola, lo faccio presentando due testimonianze. La prima, che ricorda anche la professoressa della Lettera, è stata scritta per noi da una emerita professoressa di matematica, nonché preside alle medie, la seconda è tratta dal capitolo finale del libro, ormai introvabile, di Roberto Berardi: Berardi è poi l’ispettore scolastico che inquisì Vera Spadoni Salvanti (ovviamente non trovando niente di sbagliato nel suo operato) dopo la denuncia al Ministero che don Milani aveva organizzato. Cesarina Dolfi non se l’è sentita di scriverlo, ma per l’intelligenza del testo devo rivelare che la mamma che l’aggredì era una Milani-Comparetti.

RICORDI DI UNA PROFESSORESSA (DI CESARINA DOLFI)

Nell’ormai lontano 1992, a venticinque anni dalla morte di don Milani. Il giornale La Stampa pubblicò l’intervista di Gabriella Simoni alla prof. Vera Spadoni, nota per- ché chiamata in causa nel libro Lettera a una professoressa. Quell’articolo merita di esse- re ripreso in questi giorni nei quali da più parti si ricorda don Lorenzo Milani nel quarantesimo della sua scomparsa. La prof. Vera Spadoni è stata un’insegnante capace di trasmettere ai suoi allievi l’amore per il sapere, il desiderio di formarsi una propria cultura, attraverso la lettura dei poeti contemporanei. Infatti si sente viva la necessità di affrontare i temi del momento.
La nota dominante della critica della scuola che don Milani esprime fa riferimento al problema delle “bocciature” … che ancora oggi interessa il pubblico. E qui affiora in chi scrive un ricordo molto sgradevole. Nei primi giorni di scuola del lontano 1966 una mamma mi aggredì perché la sua figliola si trovava inserita in una prima media nella quale c’erano ben dieci “bocciati”. In modo violento mi disse che dovevo vergognarmi, perché al termine dell’anno precedente avevo (naturalmente nel consiglio di classe) bocciato dieci alunni. Il tono era duro e espresso in pubblico. Non ero in grado di dare

delle spiegazioni precise e la invitai ad andare dal Preside che provvide a trasferire l’alunna. Ma, ancora oggi, quell’incontro brucia.
Un secondo episodio: poco tempo dopo il consiglio di classe decise di promuovere un’alunna che agli esami di settembre aveva consegnato il compito in bianco. Non posso fare commenti!
Aggiungo che una mia collega, docente nella scuola media di Vicchio, ebbe più volte l’occasione di esaminare i ragazzi di Barbiana, che manifestavano una preparazione molto scarsa. Oggi ripete spesso che don Milani appariva “un buon padre di famiglia”, che desiderava offrire ai ragazzi la possibilità di andare avanti, ma non era capace di ottenere i risultati sperati, perché era del tutto assente l’impegno a “fare cultura”.
Proprio Vera Spadoni alla sua alunna esprime il suo pensiero: “chi ha appoggi se la cava comunque, ma che è povero deve armarsi della cultura. Erano timi di, ma non si può essere timidi per tutta la vita. Per loro il futuro sarebbe stato più duro, ma io non dovevo illuderli che tutto fosse facile, che c’era il
«sei politico». Che a 13 anni si potesse insegnare ai bambini di cinque, sei anni”.
Quello che impressiona è il fatto che — come risulta dal libro — don Milani non conoscesse il lavoro che era stato realizzato negli anni cinquanta per creare la scuola secondaria di primo grado, obbligatoria per i ragazzi dagli 11 ai 14 anni. Manca ogni riferimento a quanto, sotto la guida di Gesualdo Nosengo — fondatore dell’Unione Cattolica Italiana Insegnanti medi — fu realizzato. I programmi del 1963 sono ignorati del tutto.
C. D.

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