di Pucci Cipriani

Fonte: Il Galletto

Ecco un’ottava composta da “Giuseppe da Gerusalemme ebreo fatto cristiano” e riportata nel libro (“Il tempo senza orologi”) da Carlo Lapucci:

Quel gennaro son io di gran valore,

Che nuov’anno t’apporto e caccio il vecchio.

Fu circonciso il primo dì il Signore,

Ed alli sei l’Epifania apparecchio;

Antonio ai diecisette ha il giusto onore

A venti Sebastian di virtù specchio

Paolo ai venticinque fu converso

E con trentuno qui finisco il vero.

Ricordo da ragazzo – tanti e tanti anni fa tutti siamo stati ragazzi – quando aspettavamo con trepidazione le “vacanze di Natale” che iniziavano l’antivigilia del “dies natalis” e che finivano con la festa Befana come noi chiamavamo la festività dell’Epifania…lunghe vacanze con le feste più belle dell’anno e che noi ragazzi vivevamo con intensità…a cominciare dall’ultimo dell’anno, ovvero la notte di San Silvestro, quando i nostri genitori andavano al veglione e noi ragazzi, in casa con la nonna, avevamo il permesso di aspettare la mezzanotte…ed era meraviglioso poter stare alzati fino a tardi – ma in genere ci addormentavamo prima – per noi che eravamo abituati a correre a letto al suono della campana delle nove, la campana del freddo, aspettare, come i “grandi” la mezzanotte: era la più agognata delle “trasgressioni”…arrivavano i cugini e la nonna, nel frattempo, aveva preparato il ciambellone e la cioccolata in tazza che, però, si poteva assaporare solo a mezzanotte….poi ci proponeva la tombola con l’ambo, la terna, la quaterna, la cinquina e, infine :

“Tombolaaaaaa”…e noi segnavamo, via via che uscivano, i numeri sulle cartelle con dei fagioli…

A mezzanotte la cioccolata….

All’indomani una “tavolata” alla quale erano invitati anche i nonni materni e lo zio  e la nonna Assunta aveva preparato i taglierini fatti in casa, con la sfoglia “tirata” sullo spianatoio, e con il brodo della gallina che pagava il fio di non far più uova, in quanto a gennaio si tirava il collo a quelle galline che non “producevano”  per cui il proverbio “A gennaio si vuota il pollaio”  o anche l’altro “Gallina vecchia fa buon brodo”…e le promesse: “Anno nuovo vita nuova”, e via, noi ragazzi, con le tiritere, “chi piange il primo dell’anno piange per tutto l’anno” …”chi non mangia il primo dell’anno non mangia per tutto l’anno”…

Ricordo che, poi, il nonno voleva che recitassimo una poesia e noi, al volo, spiattellavamo quella del grande Angiolo Silvio Novaro che la maestra ci aveva fatto imparare (Saggezza delle vecchie maestre!) a memoria e che, penso, sia stata recitata, in quella stessa circostanza, da intere generazioni di bambini:

L’anno vecchio se ne va

e mai più ritornerà.

Io gli ho dato una valigia

di capricci e impertinenze,

di lezioni fatte male,

di bugie e disobbedienze.

Anno nuovo avanti, avanti!

Ti fan festa tutti quanti!

D’esser buono ti prometto,

anno nuovo benedetto.

Ma, per noi, la festa più affascinante e bramata era l’Epifania…e la nonna cii raccontava che, in quella vigilia, avvenivano fatti inspiegabili – come lei poteva testimoniare senza tema di smentita avendoli sentiti raccontare dalla sua mamma – infatti, nelle stalle, in quella notte di attesa, parlavano gli animali e si lamentavano quando il padrone, a sera, non avesse dato loro abbondante biada…e pensavano anche di vendicarsi. Nell’ascoltare questo racconto ci venivano i brividi! In quella vigilia tanto attesa mettevamo nel presepe, davanti al Bambino, posto nella mangiatoia, i magi in adorazione e poi, buoni buoni, andavamo a letto presto, e in casa ci dicevano di mangiare “tutto”, senza fare tante storie, altrimenti la Befana ci avrebbe bucato la pancia e, allora, la cantilena:

Befanina non mi bucare / ché ho mangiato pane e cacio/ ed ho un corpo duro, duro/ che mi suona come un tamburo.

E l’aspettativa toglieva il respiro perché, come avevamo appreso dalla lettura de “La calza della Befana” ne “Le novelle della nonna” di Emma Perodi, c’era stata anche una Befana, una vecchia strega cattiva, fortunatamente bruciata insieme alle altre streghe: in casa mettevamo un fastello di fieno per Marchino, il ciuchino della Befana e, per la cara vecchietta, un bicchier di vino…e la mattina il fieno era sparito insieme al vino…segno certo di gradimento. E infatti la Befana lasciava le calze con dentro dolciumi, mandarini, marroni e fichi secchi e, naturalmente, un involtino di cenere e carbone per castigarci delle nostre “marachelle” e, poi, i giocattoli…il tamburino di latta, il cavallino, il fucilino che sparava tappi di sughero, il “piccolo falegname”, le lingue di Menelicche e, se proprio ce le fossimo meritate, anche le pistole con i fulminanti e il cappello e la stella da sceriffo… parteggiavamo sempre per la legge contro i banditi…nessuno voleva fare la parte del fuorilegge…

Per le bambine c’erano bambole, bambolotti, bei nastri per i capelli e i “tegamini”…

Al mattino, poi, andavamo a fare visita agli zii e alle zie dove, senz’altro, trovavamo un “pacchettino” che ci veniva consegnato con le parole di rito: “Mah quest’anno la mia Befana è stata un po’ tirchia…ma si è ricordata lo stesso di voi…” e noi eravamo contentissimi e aprivamo tremanti, quel pacchettino dal quale spuntavano i fulminanti per il “fucilino” o un libriccino con la storia d’Italia a fumetti o un portachiavi…  

Certo sapevamo anche che, come in casa ci ricordavano, “L’Epifania tutte le feste la porta via..” e che l’indomani sarebbe stato il Giorno di Santa Susina e “per Santa Susina, si torna a scuolina”… ma intanto dai salesiani arrivava un’altra Befana, generosissima con tutti i bambini che dava, a man bassa, mandarini, fichi secchi e cavallucci…scoprii solo più tardi, ormai grandicello, l’identità di quella generosa Befana, che si presentava con gli occhiali, una pezzuola in capo,  una gonna zingaresca e la scopa: era la signora (Giulia?)Bassi, la mamma del salesiano don Bassi e del fratello detto “il Mannero”…un’altra volta arrivò una Befana che, però tutti riconobbero nella persona del Sig. Giovanni Modi…che però non gradì di essere riconosciuto….

Il pomeriggio in pieve c’era la benedizione dei bambini e, poi, finita la cerimonia della premiazione dei presepi che mi faceva morire dalla rabbia e, sì, anche dalla gelosia, infatti vincevano sempre i due fratelli Marco e Pierluigi Squarcini…e, sinceramente, le loro vittorie erano più che meritate…il loro presepe era bellissimo, antesignano, di quello animato, come adesso viene fatto dai volontari nella cappella del SS. Crocifisso nel mio paese e che tanta gente richiama…

In genere gennaio è il mese del freddo e della neve e Angiolo Silvio Novaro ci avvisa che “Gennaio mette ai monti la parrucca” infatti precede “febbraio (che) grandi e piccoli imbacucca”, le giornate di questo mese son cortissime e lunghe le notti, ma, il proverbio ci ricordava che “Per San Sebastiano un’ora abbiamo” e proprio questo Santo è il messaggero della primavera: “San Sebastiano ha la viola in mano”…

Il 20 gennaio era festa grande nella sede della nostra Confraternita di Misericordia  (ma se il 20 veniva o viene, come ancor oggi si usa, in un giorno lavorativo la festa si faceva e si fa tuttavia la domenica più vicina) in onore del patrono Sebastòs, protettore degli appestati, termine greco che vuol dire venerando, augusto, come veneranda è la nostra Misericordia che ha per fondatore San Piero Martire, martirizzato, appunto, dai patarini nei pressi di Lodi, e per compatrono San Tobia, un personaggio dell’Antico Testamento, famoso per le sue opere di pietà nel seppellire i morti.

Al mattino la zia ci portava alla Messa solenne celebrata dal pievano e accompagnata da un bel coro con il canto gregoriano, poi venivano distribuiti i panellini benedetti che a casa venivano mangiati, a mezzogiorno, per devozione, dopo aver recitato il Pater noster…e il pomeriggio il “prete novello” del paese faceva il panegirico del Santo, dopo i vespri… ricordo di aver assistito al panegirico di un giovanissimo prete: don Enzo Mazzi…

San Sebastiano era preceduto, il 17 gennaio, da Sant’Antonio Abate – l’immagine del Santo era un tempo in tutte le stalle – e si benedivano gli animali…i bovi, i cavalli, i muli, le pecore; oggi che l’agricoltura è in piena crisi e si portano a benedire cani, gatti, criceti, uccelli…dicevano che il 17 gennaio, Sant’Antonio, fosse il giorno più freddo dell’anno, da qui i proverbi: “S. Antonio dalla barba bianca se non piove la neve non manca” ma “S. Antonio dalla gran freddura, per fortuna poco dura”

Ricordo bene i giorni freddi di gennaio, la stufa a legna, il braciere, il “fuoco a letto” con lo scaldino attaccato all’archetto, “il prete”, e la “cecia” che le donne, durante il giorno, tenevano tra le gambe, coprendola con le grandi sottane…e la mattina il ghiaccio ai vetri, i geloni alle mani e il freddo nei locali pubblici per cui quando si andava al cinema “Martinelli” e ci si rammaricava il Signor Gino ci diceva: “Eh, la prossima volta venite in tanti così ci si riscalda!”

Termino i miei sparsi ricordi di gennaio rivelando ai giovani d’oggi -che sanno usare tutte le diavolerie della tecnica – un “segreto”…infatti son sicuro che, a differenza di noi “anziani”, essi non sanno perché il merlo sia nero, infatti, un tempo assai lontano i merli erano bianchi ma, negli ultimi tre giorni di gennaio , il 29, il 30 e il 31,(i giorni della merla) una merla bianchissima con il becco giallo, con i suoi merlotti,  che non ce la faceva più dal freddo, entrò nei comignoli e trascorse al calduccio i tre giorni freddissimi…ma quando uscirono, a causa del fumo e della fuliggine, erano diventati tutti neri…e non ci fu verso di cambiare. Non ci credete? Fate la controprova: trovatemi un merlo bianco.

PUCCI CIPRIANI

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