Di Gildo della Querce
Nell’approssimarsi della Santa Pasqua, la contemplazione del mistero di passione, morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo, su un giornale di dubbia fede è comparso il consueto “articolo”, diremmo la consueta nenia, di fratel Domenico Rosa, dei missionari del Sacro Cuore (!). Ebbene tra le profondità del Mistero pasquale, il mistero decisivo e definitivo per la salvezza di ogni uomo di ogni tempo, il fratello (in salsa) Rosa non trova di meglio da annunziare ai suoi “fedeli” lettori che i supposti (in tutti i sensi) punti di contatto di tale divina grandezza con ebrei e musulmani. Dice, in ultimo, il Nostro:«[…] i nostri fratelli ebrei, che non hanno riconosciuto il Figlio di Dio in Gesù nella sua prima venuta, lo abbracceranno quando si avvereranno le parole di Isaia (Is 2, 1-4)». Per quanto il giorno del Giudizio sia materia su cui fratel Rosa non si attarda a discettare oltre la citazione (Deo gratias!), non una parola è rivolta al fatto eclatante, discusso e indiscutibile a un tempo, che i primi punti di contatto tra il Cristo sofferente e risorto e i “fratelli” ebrei siano stati proprio i chiodi della Santa Croce, con i quali per sempre il Rex iudeorum è stato innalzato per attirare tutti a sé, anche gli ebrei pertanto. Spiace che a fratel Rosa difetti, tra le altre cose, proprio la memoria, quella di cui egli stesso diceva, negli anni del suo tradizionalismo fiorentino, “abbiamo un solo difetto: la memoria”, per riassumere con pungente sagacia quella che è l’anima della Traditio Ecclesiæ, ossia la memoria che si fa memoriale, perpetuando in ogni tempo l’Eternità della “pienezza dei tempi”. La lettura tutta prona e dimentica, in salsa Rosa, ci dice invece a quale abiette amenità si giunga quando si tenti la mefitica via dell’ecumenismo à la page (ma l’ecumenismo è cosa nobile rispetto alle salsine tutto stucco del Rosa), che potrà anche essere benevolo e rassicurante, ma ha il non trascurabile difetto di essere falso.
Gildo della Querce