Il saggio di Niccolò Mochi Poltri, Società, divenire storico e conservazione.
Introd. F. Cardini, Nazione Futura, Roma-Cesena 2018.
Affrontare tematiche attinenti alla genesi o alla natura delle società civili, al loro divenire, soffermarsi sulle cause della loro trasformazione, indagarne l’essenza fino a tracciarne un vero e proprio «statuto» sembrerebbe oggi un’opera immane, e forse anche superflua, considerata la sterminata prateria di contributi scientifici accumulatisi sull’argomento.
Si pensi alle relazioni che la sociologia giuridico-politica, quella che si occupa in senso stretto dei temi e dei problemi delle comunità di individui, intrattiene con altre fondamentali componenti come le forme di stato e di governo, come le democrazie; si pensi a quanto e in che modo ne sia stato scritto e parlato a partire dai più prossimi e celebrati scrittori, da Bobbio, da Sartori, dagli assertori delle così dette condizioni sociali «pre-politiche» come Habermas e lo stesso Ratzinger o da quegli studiosi che oggi parlano di post-democrazie come la Urbinati.
Eppure, in questo affollato e illustre panorama, Niccolò Mochi Poltri che è l’autore del saggio titolato Società – Divenire storico e conservazione, si distingue per agilità e limpidezza contenutistica e formale.
Si tratta di un serio vademecum nel quale l’Autore si tiene saggiamente lontano dal citazionismo, ma dove riesce a disseminare tutte le fonti referenziali utili e necessarie per ricostruire un percorso «organicistico» della società, o meglio delle società, che dalla loro nascita tocca il loro divenire storico per approdare ad una definizione della loro essenza, senza mai cadere nel tecnicismo astratto di questa o quell’altra filosofia del diritto che allontanerebbe l’argomento trattato dalla realtà concreta, ma restando sempre sul piano pratico e comprensibile ai più.
Del «divenire» delle società Mochi Poltri parla dalla prima all’ultima riga, ma sempre sottolinea che si tratta di un divenire mai ontologico, sempre storico, quindi un divenire strettamente legato alla storia e non alla natura (o essenza) della società la quale natura (o essenza), in quanto aggregato umano, resta sempre un individuo riunito in una comunità sociale.
È proprio intorno a questa dicotomia di base homo religiosus-homo laicus che costituiscono l’aggregato sociale di fondo, che l’Autore costruisce il suo saggio.
Come sulla scena di un teatro, Mochi Poltri non smette mai di tenere le luci puntate sulla ribalta dove «si svolge» la commedia, o il dramma, dell’umana società, del consorzio civile, cioè la scena di questo mondo.
E pare proprio corretto parlare di «svolgimento» di questo divenire sociale, in quanto dipanarsi ed espandersi della società nel tempo della storia ma – come sottolinea più volte l’Autore – non in senso meccanicistico bensì in senso strutturale: qui si parla di società come organismi viventi, di dinamiche di un divenire organico delle società, di una trasformazione organica delle stesse che, come tutti gli organismi, sono sottoposte ad un ciclo vitale e pertanto soggette ad esaurimento o dissoluzione come ogni altro organismo.
Da questo continuo processo di trasformazioni sociali Mochi Poltri fa nascere la categoria dei «dirigenti», classe di individui “specializzati nell’organizzazione della convivenza e nella gestione del divenire”: è evidente, mi pare, il richiamo alle tesi elitiste di Mosca e di Pareto, anche se l’Autore preferisce tacere nomi e cognomi.
Dai «dirigenti» alla «classe politica», al significato di «conservatorismo politico» il passo è breve e Mochi Poltri lo compie con insolita agilità di stile, considerata la densità giuridica, storica e politica dei termini in questione.
Del conservatorismo politico viene poi offerta una prospettiva quanto mai interessante, come “salvataggio di una società dal divenire storico” e quindi dalla sua trasformazione, il che vuol dire – in altri termini – tutela e custodia della «tradizione» come nucleo sociale primigenio ed omogeneo di una e di ogni società. È la tradizione che forma una civiltà, sottolinea giustamente l’Autore.
Una tradizione che evidentemente non vuol dire «fissismo», ma sviluppo omogeneo e genuino all’interno di un’identità sociale a tutela della quale è posto il gruppo conservatore.
Ma c’è di più, in questo interessante studio: il rapporto fra conservatori e progressisti e i mali del progressismo; il concetto di conservatorismo rintracciabile anche all’interno del progressismo, cioè il peggio del peggio del progressismo, quello che potremmo chiamare massimalismo; le interazioni fra gli elementi formali di una società e il divenite storico, sono altrettanti punti considerati dall’Autore, i quali attirano l’attenzione e il consenso di un lettore anche non tecnicamente attrezzato.
Ha ragione dunque Franco Cardini nella Prefazione a parlare di questo saggio come «re-tractatio», come ri-considerazione sì di questioni molto complesse attinenti alle varie civiltà delle diverse epoche storiche, ma Cardini ha ragione anche a indicarne un valore aggiunto, quello di un saggio che cerca di identificare alla base della società il preciso spartiacque fra homo religiosus e homo laicus e con ciò indicare il percorso da un’etica sociale solo immanente (se restiamo nel campo del solo divenire storico), a quell’etica sociale trascendente identificabile facilmente – aggiungo io – in quel bonum commune che la filosofia Scolastica vedeva come apex della società civile come specchio della divina Creazione, come anello di congiunzione con Dio grazie alla funzione mediatrice della Chiesa gerarchica.
Proprio la dimenticanza della trascendenza di ogni fondamento sociale, l’oblio prima individuale e poi collettivo dei dati della Rivelazione di cui la Chiesa è l’unica depositaria e dispensatrice, hanno reso l’uomo quel caos di irrazionalità contro natura, di antinomie e di contraddizioni che deturpano la divina creazione e con essa i suoi frutti come l’humana societas.
Giovanni Tortelli