Tratto da Disputationes Theologicae
Di Don Stefano Carusi
Abbiamo già invocato in passato i pericoli di una nuova “prassi sacramentale” (Missionari della Misericordia o della profanazione della Confessione?), con cui si diffonde nella pratica l’accesso oggettivamente sacrilego alla Comunione e che quantomeno asserisce di rifarsi alla diffusione di documenti ambigui quali Amoris Laetitia o alle linee, provenienti da alto loco, di formalizzazione dell’intercomunione coi Protestanti (cfr. Intercomunione, le false ragioni dottrinali di Kasper). Avevamo anche ricordato come, nel pensiero marxista che oggi fa scuola, i più inconfessabili programmi rivoluzionari si applichino non tanto con documenti di speculazione ordinata, supportando scientificamente la supposta validità delle novità e accettando il rischio di reazioni contrarie, ma con l’azione fattuale e concreta, con la “dottrina della prassi” appunto. Documenti troppo articolati ed espliciti infatti, non potendo resistere ad un esame serrato perché privi di solida ossatura filosofica e teologica e soprattutto di radicato fondamento nella Divina Rivelazione, si rivelerebbero controproducenti per la causa dei sovversivi. Non per questo il piano del capovolgimento è meno articolato, solo non lo si confessa e ci si limita ad applicarlo sottotraccia, lasciando poi che la dottrina cambi impercettibilmente in tutti quegli ambiti che alla nuova prassi ereticale sono connessi. A forza di non agire come si pensa, si finisce per pensare come si agisce. I marxisti – e il catto-marxismo che ne è un succube derivato – lo sanno bene.
In merito alla Comunione sacrilega di fatto ormai imperversante e in parte anche teorizzata – sebbene evitando con cura la troppo allarmante nozione di “sacrilegio” e parlando piuttosto di “apertura” (guarda caso sempre “a sinistra” e, salvo “situazioni fantoccio”, mai “a destra”) – è bene ricordare l’ampia illustrazione che ne dà San Tommaso d’Aquino, cercando di coglierne tutti i risvolti distruttivi connessi alla oggettiva malizia di tale sacrilegio, sovvertitore anche del disegno di Cristo sulla Sua Chiesa. E’ evidente che non ci stiamo riferendo alla debolezza di chi per rispetto umano si accosta alla Comunione in peccato mortale, perché mal formato o perché più attento al giudizio degli uomini che a quello di Dio – la qual cosa resta di certo grave e dalla quale è imperativo emendarsi, ma che può talvolta essere attribuita più a umana irrisolutezza che a meditata malizia – ma ci riferiamo alla velata “teorizzazione” (vale a dire : ufficializzazione) da parte di taluni ecclesiastici anche rivestiti di autorità, della “prassi” della Comunione sacrilega.
Fino a che punto viene falsato il segno dell’Eucarestia
Quando San Tommaso analizza in cosa consista la gravità della Comunione sacrilega non solo si riferisce al grave danno che subisce l’anima del peccatore e alla condanna che si decreta a se stessi, riportando il noto passaggio della Prima Epistola ai Corinti, “chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna” (11, 29), ma vuole approfondire con ampiezza tutto quel che indica e comporta peccare “sacramentalmente”.
La visione di San Tommaso su questo punto è come sempre lontanissima dall’individualismo e dal soggettivismo moderno. L’Aquinate valuta prima di tutto la cosa in sé – la gravità in sé di tale atto – e la valuta quindi in tutti i suoi aspetti sacramentali, cristologici, ecclesiali ed escatologici, evidenziando cioè tutti i danni che vengono procurati alla nozione stessa di Sacramento, di Presenza reale, di Chiesa, evitando di fondarsi sugli aspetti di questo o quel caso singolare pur tenendone conto.
San Tommaso, il cui pensiero cercheremo di esporre brevemente di seguito, facendo uso di una classica distinzione scolastica, afferma che la malizia della Comunione fatta avendo sulla coscienza un peccato mortale è quantomeno triplice1.
Il primo motivo di malizia è relativo all’Eucarestia in quanto proposta in modo di nutrimento (“in modum cibi proponitur”). Il cibo infatti è qualcosa che si propone al vivo perché si nutra e non già al morto, perciò chi vi si accosta non avendo la vita spirituale a causa del peccato mortale compie un abuso, falsando tale Sacramento nel suo essere un nutrimento per i soli vivi.
Come il pane e il vino, alimento del vivente, si trasformano nella persona di colui che si nutre così avviene in certo modo nell’Eucarestia, laddove tra il cibo spirituale e il fedele si produce questa unione che è una trasformazione, con la differenza che “alla mensa eucaristica il cibo è più forte di colui che lo mangia, il fedele non assimila, ma viene assimilato da Cristo: «Non sei tu che mi muti, ma sono io che ti trasformo in me» (S. Agostino Confessioni 7, 10, 16)”2. Afferma il Concilio di Firenze: “L’effetto di questo Sacramento, che si opera nell’anima di chi lo riceve degnamente, è l’adesione dell’uomo a Cristo. E poiché l’uomo viene incorporato a Cristo e unito alle sue membra per mezzo della grazia, in coloro che lo ricevono degnamente, tale sacramento aumenta la grazia e produce per la vita spirituale tutti quegli effetti, che il cibo e la bevanda materiali realizzano nella vita corporale, alimentando, sviluppando, ristorando e dilettando”3.
Nella Comunione data all’anima in peccato mortale nulla può valere di quanto è stato appena detto e quel nutrimento che appare esternamente vita per l’anima è piuttosto la sua condanna alla morte, quindi dare in pasto sacramentalmente la vita della grazia al cadavere, in buona sostanza, non è altro che menzogna4. Si fa mentire il Sacramento, al quale – aldilà delle intenzioni soggettive – si fa dire che esso è qualcosa per coloro che sono spiritualmente “morti”; oppure si nega che il peccatore in peccato mortale sia veramente “morto spiritualmente”, avvicinandosi alla nozione luterana dell’uomo al contempo “peccatore e giusto”. Per un approfondimento di tale nozione e della sua attuale diffusione rinviamo al nostro L’influsso di Lutero dietro la “tesi Kasper”?. Oppure si suggerisce – un po’ “gesuiticamente” – che non sia peccato mortale perché pur essendoci “materia grave” mancano però “piena avvertenza” e/o “deliberato consenso”, il che è possibile, concediamo, ma il ricorrere a tale argomento – specie abitualmente – contraddice il principio fondamentale per cui “de internis non iudicat Ecclesia” (cfr. “Amoris Laetitia”: Mons. Livi parla ai penitenti e ai confessori).
In secondo luogo con la Comunione sacrilega si abusa quanto alla realtà di Cristo sotto le specie del pane, quell’Ostia consacrata è Cristo stesso, che è il Santo dei Santi, quindi colui che lo riceve deve essere santo, nel senso che deve essere in stato di grazia5; ovvero è necessario essere esenti almeno dal peccato mortale perché ci possa essere quella conformità tra chi ospita il Santissimo Sacramento in sé e l’Ospite Divino, offrendo un luogo degno a tanto Visitatore. Vi è quindi un abuso, oggettivamente gravissimo, del Sacramento perché si assume la cosa santa in ciò che non è santo e così facendo oggettivamente si falsa il Sacramento. Aggiungiamo che nell’attuale clima potrebbe anche esserci una strisciante negazione della santità intrinseca della Presenza Reale e sostanziale, alla moda protestante, oppure un’alquanto moderna attribuzione di santità più o meno “anonima” – sulle orme di Karl Rahner, definito dal Card. Giuseppe Siri il più pericoloso dell’eterodossa “Nuova Teologia” condannata da Humani Generis – ad ogni uomo.
In terzo luogo – ed è l’aspetto più grave, legato al precedente – accedere al Corpo reale di Cristo significa e causa anche l’unione al Corpo mistico di Cristo, a quell’unione alla Santità del Redentore nella Comunione dei Santi, unione “incorporante” a Cristo e ai fratelli in grazia6. E sotto questo aspetto la Comunione sacrilega falsa in modo gravissimo il significato del Sacramento, perché sotto il profilo oggettivo – che è e deve essere quello preminente – fa dire al Sacramento che quella circolazione mistica della carità nella Comunione dei Santi è una circolazione che può tranquillamente convivere col peccato grave e più largamente addirittura con ciò che di per sé si oppone all’unità della Chiesa come l’adesione allo scisma o all’eresia protestante per esempio. Il Concilio di Trento con autorità dogmatica ricorda che “Il Divin Salvatore lasciò l’Eucarestia alla sua Chiesa, come simbolo della sua unità e della carità, con la quale volle che tutti i cristiani fossero tra di loro congiunti e uniti nel modo più intimo”7, essendo l’Eucarestia “simbolo di quell’unico Corpo di cui Egli stesso è il Capo”8 essa è “segno di unità” e “vincolo di carità”9 tra Cristo e i cristiani che al Celeste Banchetto accedono. Quindi l’accesso indegno all’Eucarestia (e talvolta addirittura di chi è non solo peccatore, ma anche separato dalla Chiesa cattolica), stravolge il significato di quest’unione mistica a Cristo Capo nella Comunione dei Santi che ci lega anche alla Chiesa trionfante e purgante, e falsa la realtà poiché di fatto la Comunione sacrilega rompe e profana quel legame con Cristo e i fratelli, approfondendo il solco invece di rimarginare la ferita. Anche in questo caso possiamo ripetere che di fatto si fa mentire il Sacramento. Comunque la teologia soggiacente è tutt’altra, sebbene non lo si riveli apertamente, spaziando dalle classiche deviazioni protestantiche fino alle più funeste “interpretazioni”, che potrebbero giungere persino alla negazione della santità di Cristo, la cui Persona e azione si mescolerebbero tranquillamente col peccato in un’hegeliana sintesi degli opposti dai contorni addirittura panteisti.
Infine quanto all’aspetto escatologico, in Mirae Caritatis Papa Leone XIII scrive “il desiderio di felicità insito nel cuore di ogni uomo, si acuisce sempre più man mano che si esperimenta la vanità dei beni terreni, l’ingiusta prepotenza dei malvagi e tutte le altre preoccupazioni materiali e spirituali della vita. L’Augusto Sacramento dell’Eucarestia è insieme causa e pegno della felicità eterna e della gloria, non solo per l’anima, ma anche per il corpo. Come infatti arricchisce l’anima con l’abbondanza dei beni celesti, così li cosparge di tali piacevoli godimenti da superare grandemente qualsiasi aspettativa e speranza umana. Sorregge nelle avversità, dà forza nella lotta per la virtù e custodisce per la vita eterna, a cui conduce come viatico. Quest’Ostia Divina inocula nel corpo fragile e destinato alla morte, la futura risurrezione, perché il corpo glorioso di Cristo inserisce un germe di immortalità che un giorno germoglierà. In ogni tempo la Chiesa, credette nell’uno e nell’altro dono, che verrà conferito all’anima e al corpo”. Di quanto detto con tanta soavità dal Pontefice per l’anima in grazia, non una sola parola può applicarsi alla Comunione sacrilega, per cui quel “pegno della gloria futura e della felicità perpetua e pertanto simbolo di quell’unico corpo di cui egli è il capo” si trasforma solo in veleno mortale per colpa di chi lo riceve. E, soprattutto, per colpa oggettiva di chi lo ha indotto a tale atto. Osserva Mons. Piolanti: “per l’incorporazione a Cristo si riceve il diritto agli stessi beni del capo, realizzandosi per l’Eucarestia la perfetta incorporazione a Cristo, si ottiene per essa il massimo titolo al raggiungimento per l’anima e per il corpo di quella felicità di cui Cristo, capo del Corpo Mistico, già perfettamente gode”10. Ma cosa rimane di tutto ciò nella pratica della Comunione sacrilega se non un’offesa a Nostro Signore Gesù Cristo, che di per sé è atta a spalancare più le porte dell’Inferno che non quelle della Gloria eterna?
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Una “prassi omicida”
La diffusione oggettivamente colpevole della pratica dell’accesso all’Eucarestia in peccato mortale – specialmente da parte dei Maiores, che dovrebbero avere una maggior cognizione di causa – di fatto “fa mentire” il Sacramento. Le cause di tali “aperture” possono essere rinvenute nella cedevolezza verso il Mondo (“mondo” nell’accezione della Sacra Scrittura), nella diffusione di una teologia sacramentale ereticale, ma possono anche essere legate – se perseguite pur sapendo o pur potendo sapere – ad aspetti che non bisogna temere troppo di definire satanici, col loro stravolgimento del Sacramento e della nozione stessa di Chiesa.
Nel caso del singolo che si avvicina all’Eucaristia in peccato mortale va ripetuto che, pur permanendo il suo dovere assoluto di confessarsene quanto prima per la gravità oggettiva dell’atto, è giusto riconoscere che tale peccato può alle volte esser determinato da condizionamenti esterni, come osserva San Tommaso, per cui il peccatore teme per esempio di essere svelato davanti agli altri come tale11 – figurarsi poi negli odierni contesti – oppure non percepisce fino in fondo tutta la gravità intrinseca del sacrilegio.
Ma che dire di chi – anche in alto loco – diffondendone la pratica, quasi eleva a principio tale contraffazione, tale profanazione, tale stravolgimento della dottrina eucaristica, cristologica, ecclesiale ed escatologica? Quante anime, invece che aiutate, sono solo ingannate e pervertite? Quale danno si causa alla Dottrina cattolica tutta intera?
Che poi tale invito sia solo una “prassi” e non una chiara formulazione in una trattazione specifica è solo indice dell’ulteriore malizia satanica che, aldilà del grado di consapevolezza dei singoli, vi si annida. Non si ha nemmeno il coraggio dell’affermazione eretica o sacrilega, la si applica “soltanto”. E’ il modernismo “di ultima generazione” alla scuola dei metodi marxisti, peggiore persino di quell’assunzione di responsabilità – per quanto ripugnante – che almeno ebbe Lutero (a detta di qualcuno, morto suicida come l’Apostolo Giuda).
Don Stefano Carusi
1 San Tommaso d’Aquino, In IV Sent., d. 9 q. 1 a. 3 qc. 1 co: “Respondeo dicendum ad primam quaestionem, quod quilibet cum conscientia peccati mortalis manducans corpus Christi, peccat mortaliter, quia abutitur sacramento: et quanto sacramentum est dignius, tanto abusus est periculosior. Ratio autem hujus ex tribus potest sumi. Primo ex eo quod est sacramentum tantum, ex quo apparet, quod hoc sacramentum in modum cibi proponitur; cibus autem non competit nisi viventi: unde si carens vita spirituali per peccatum mortale accipiat hoc sacramentum, abutitur ipso. Secundo ex eo quod est ibi res et sacramentum, quod est ipse Christus, qui est sanctus sanctorum; unde receptaculum ejus debet esse sanctum; et ideo si aliquis cum contrario sanctitatis corpus Christi sumat, sacramento abutitur. Tertio ex eo quod est res tantum, quod est corpus Christi mysticum; quia ex hoc ipso quod aliquis ad hoc sacramentum accedit, significat se ad unitatem corporis mystici tendere; unde si peccatum in conscientia teneat, per quod a corpore mystico separatur, fictionis culpam incurrit, et ita abutitur sacramento”. Idem, Summa Theologiae (S. Th.), IIIa Pars, q. 80, a.4. Sulla distinzione “res tantum, res et sacramentum, sacramentum tantum”, si veda anche A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, Vaticano 1996, p. 366. Idem, I Sacramenti, Vaticano 1990, p. 198.
2 A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, cit., p. 607.
3 Denz. 1322.
4 “cibus autem non competit nisi viventi: unde si carens vita spirituali per peccatum mortale accipiat hoc sacramentum, abutitur ipso”, San Tommaso d’Aquino, Sent., lib. 4 d. 9 q. 1 a. 3 qc. 1 co.
5 “Secundo ex eo quod est ibi res et sacramentum, quod est ipse Christus, qui est sanctus sanctorum; unde receptaculum ejus debet esse sanctum; et ideo si aliquis cum contrario sanctitatis corpus Christi sumat, sacramento abutitur”, Ibidem.
6 “ex hoc ipso quod aliquis ad hoc sacramentum accedit, significat se ad unitatem corporis mystici tendere; unde si peccatum in conscientia teneat, per quod a corpore mystico separatur, fictionis culpam incurrit, et ita abutitur sacramento”, Ibidem.
7 Denz. 1635.
8 Denz, 1638.
9 Denz. 1649.
10 A. Piolanti, Il Mistero Eucaristico, cit., p. 610.
11 S. Th., IIIa, q. 80, a. 5, c., “ex quodam timore ne deprehendatur in peccato”.