Tratto da: Corrispondenza Romana
(Marco Tosatti, Americo Mascarucci, Stilum Curiae – 19 Luglio 2020) Carissimi Stilumcuriali, non pensavo che il dibattito sul Concilio Vaticano II, lanciato dall’arcivescovo Viganò, avrebbe suscitato un così grande interesse in così tante persone. Lo vediamo qui nel nostro sito, e continuano a giungermi contributi e osservazioni. Oggi pubblichiamo quello di Americo Mascarucci, giornalista e scrittore, autore fra l’altro di “La rivoluzione di Papa Francesco. Come cambia la Chiesa da don Milani a Lutero”. Buona lettura.
Caro Tosatti
Mi permetto di intervenire nel dibattito aperto sul Concilio Vaticano II dall’intervento di monsignor Carlo Maria Viganò. Premetto di non essere un teologo e di non avere la stessa autorità e competenza in materia degli illustri commentatori già intervenuti sull’argomento. Sono soltanto un semplice giornalista appassionato di cose vaticane, una passione che mi ha portato a pubblicare due libri, entrambi con la casa editrice Historica: il primo due anni fa dal titolo “La Rivoluzione di Papa Francesco- come cambia la Chiesa da Don Milani a Lutero”; il secondo a gennaio 2020 intitolato “La Chiesa nella Politica- come è cambiata la Cei da Ruini a Papa Francesco”.
Da anni intorno al Concilio Vaticano II è in corso un dibattito sull’ermeneutica dello stesso: un’ermeneutica della continuità, sostenuta in primo luogo da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI secondo cui l’evento conciliare sarebbe in perfetta continuità con la tradizione e il magistero della Chiesa e quindi con la stessa tradizione tridentina. A questa visione si è contrapposta un’ermeneutica della discontinuità, promossa soprattutto dai discepoli della cosiddetta “scuola di Bologna” cresciuta nel culto di due figure cardine del cattolicesimo progressista, il cardinale Giacomo Lercaro e don Giuseppe Dossetti, che al contrario vede nel Vaticano II una rottura della tradizione.
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Lo storico Roberto De Mattei nel suo libro “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta” ha confutato la tesi tanto cara sia a Wojtyla che a Ratzinger, quella appunto dell’ermeneutica della continuità, dimostrando come sia impossibile separare il Concilio dagli errori che ne sono conseguiti. Per lo storico è dunque da rigettare l’idea che gli errori possano essere considerati una patologia da estirpare in un corpo sano. E oggi, di fronte a certi comportamenti tipici dell’attuale pontificato, la tesi di De Mattei sembra prendere piede in tutta evidenza, proprio laddove il Concilio diventa l’ombrello sotto cui ricondurre certe posizioni quantomeno discutibili.
Papa Francesco è forse il miglior esempio di come il Vaticano II, lungi dal voler rinnovare nel segno della continuità, sia stato invece l’evento che ha messo fine alla Chiesa cattolica come “unica” e sola Chiesa di Cristo nella continuità apostolica, l’unica Chiesa dove risiede la salvezza.
Le tesi del teologo e filosofo Karl Rahner, grande sostenitore del Concilio come rottura della tradizione, secondo il quale non sarebbe l’appartenenza alla Chiesa a garantire la salvezza ma la coscienza, che se retta e orientata al bene porta gli uomini ad essere vicini a Dio pur senza credere in lui (la teoria del cristianesimo anonimo), sembra essere oggi la stella cometa che orienta l’attuale pontefice. Che non a caso è applaudito e acclamato più dagli atei che dai praticanti e non ha mai fatto mistero di nutrire maggiore affinità con certi non credenti, vedi Eugenio Scalfari, che con i cattolici cosiddetti “tradizionalisti”.
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Non è possibile quindi separare gli errori dal Concilio: non è possibile pensare che lo “scisma dell’Isolotto”, vicenda sviluppatasi nella Firenze catto comunista riunita intorno alle idee di Giorgio La Pira, sia stata il frutto di un’errata interpretazione dello spirito conciliare. Come non si può considerare un’errata interpretazione l’impegno di tanti cattolici al fianco del Partito Comunista, o l’appoggio al divorzio di illustri sacerdoti e teologici ai tempi del referendum. E non fu certamente frutto di un’errata interpretazione del Concilio il “caso Lercaro”, ovvero la famosa omelia dell’arcivescovo di Bologna contro la guerra in Vietnam e l’imperialismo americano nel pieno della guerra fredda, con i comunisti che reprimevano nel sangue le rivolte nei Paesi dell’Est Europa, imprigionando, torturando e uccidendo sacerdoti e religiosi.
Come evidenzia bene monsignor Viganò, il Concilio fu in realtà manipolato con vere e proprie azioni di sabotaggio che videro all’opera autentiche centrali di cospirazione, interne ed esterne. Fra queste merita particolare attenzione l’organizzazione chiamata “Opus Angeli”, che ebbe fra i suoi principali ispiratori il cardinale belga ultra progressista Leon Suenens e il vescovo brasiliano Helder Camara uno dei principali esponenti della Teologia della Liberazione (spesso elogiato da Francesco) che tentarono di influenzare con ogni mezzo i lavori e gli esiti finali, con l’appoggio di potenti media. E pur fallendo nell’obiettivo di far approvare dal Concilio la loro agenda fatta di diritti civili, abolizione del celibato sacerdotale, apertura al sacerdozio femminile, riforma della morale sessuale con il via libera all’utilizzo dei contraccettivi e alla possibilità del controllo delle nascite da parte degli Stati, gli stessi furono molto abili nel confondere le acque, inquinare i testi e quindi favorire proprio la libera ed equivoca interpretazione della dottrina in chiave modernista, alla base degli errori conseguenti.
Giovanni Paolo II cercò coraggiosamente di ricondurre il Concilio sul giusto binario, sostenuto in questo dall’opera instancabile del cardinal Ratzinger, ma anche lui fu tratto in inganno su alcune questioni dirompenti, forse a causa del suo essere “primo papa straniero” in una curia vaticana completamente controllata da italiani, eredi della stagione “montiniana” e in qualche misura essi stessi legati alla stagione conciliare e ai suoi errori. Non si spiegherebbe altrimenti la decisione di adottare la linea dura nei confronti del vescovo Marcel Lefebvre, grande oppositore del Concilio e fondatore della Fraternità San Pio X, linea dura sostenuta con vigore dal cardinale Achille Silvestrini, figlioccio del segretario di Stato Agostino Casaroli e come lui grande promotore dell’Ostpolitik, la politica di avvicinamento della Chiesa al mondo comunista sovietico. Lefebvre fu scomunicato come richiesto dai settori più a sinistra della curia romana, e nonostante il parere contrario di Ratzinger. Ma l’arcivescovo francese andava punito, proprio perché paradossalmente era quello che con maggiore determinazione denunciava la mancata ermeneutica della continuità del Vaticano II.
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San Giovanni Paolo II non fu neanche in grado fino in fondo di frenare e contenere lo “spirito di Assisi” e tanti suoi eccessi, come ha più volte evidenziato lo scrittore Vittorio Messori che pure di Wojtyla fu amico e grande ammiratore. Messori denunciò come già nella giornata mondiale della pace che si tenne ad Assisi il 27 ottobre del 1986 alla presenza dei rappresentanti di tutte le religioni del mondo, si verificarono episodi inaccettabili, con tanto di riti pagani nella basilica di San Francesco, polli sgozzati sull’altare di Santa Chiara, balli esoterici ecc. Eccessi che sfuggirono anche all’attenzione dello stesso Ratzinger, che pure nei giorni precedenti era intervenuto per impedire altre iniziative discutibili e dal sapore sacrilego.
Tutto ciò non ha fatto che preparare il terreno a quell’ecumenismo che, lungi dal favorire un rapporto di reciproco rispetto fra le diverse fedi nel segno del dialogo, ha finito per legittimare l’idea di una chiesa universale, un Dio unico e uguale per tutti, con l’essere umano quasi libero di scegliere la chiesa che meglio si addice alle sue preferenze, perché basta credere nell’unico Dio per avere la salvezza, indipendentemente dal battesimo. Un’idea che si è andata affermando con sempre maggiore evidenza negli ultimi anni, dopo la stagione ratzingeriana contrassegnata dal tentativo di Benedetto XVI di riaffermare l’ermeneutica della continuità contro i tentativi dell’episcopato tedesco, ispirato dalle idee del teologo Hans Kung, di accelerare la rottura della tradizione, specialmente sui temi etici e sull’indipendenza delle conferenze episcopali nazionali da Roma. Progetti che con Bergoglio stanno trovando terreno fertile grazie all’influenza esercitata sull’attuale pontefice dal cardinale tedesco Walter Kasper, ispiratore del Sinodo sulla Famiglia e delle aperture ai divorziati risposati, alle coppie di fatto e alle unioni gay, oltre che promotore di un rapporto sempre più stretto con il mondo luterano e protestante.
Il Sinodo sull’Amazzonia è stata la logica conseguenza di una politica rivolta ad affermare il trionfo del sincretismo, nel nome di un Dio universale che come tale può essere riconosciuto e venerato sotto ogni forma, ogni simbolo, ogni divinità, sia essa cristiana o pagana.
Con la Chiesa cattolica ridotta a semplice agenzia di promozione del bene, una sorta di Ong abilitata unicamente all’assistenza, alla solidarietà, all’accoglienza, senza più alcuna finalità di conversione, ma anzi interessata a sottomettere la fede al progetto del globalismo planetario (ecco spiegato il Corano recitato in Chiesa in segno di rispetto per i migranti di religione musulmana accolti nel nome dell’umanitarismo universal-sorosiano).
Ha ragione monsignor Viganò, è arrivato il tempo di discutere sul Concilio Vaticano II e sui frutti prodotti, con la speranza che il futuro papa possa fare propria la richiesta di una profonda revisione nel segno dell’unica vera fede, l’unico vero Vangelo, l’unico vero magistero, l’unico vero verbo incarnato, Gesù Cristo figlio di Dio, Dio fatto uomo per la salvezza dell’umanità.
Americo Mascarucci