Il XXXIII Incontro della Tradizione Cattolica della “Fedelissima” Civitella del Tronto è rimandato – per ragioni che non dipendono da noi – all’ultima settimana di settembre o alla prima settimana di ottobre. Si pregano coloro che non avevano fissato la camera attraverso l’Avvocato Ruschi o il sottoscritto di disdire le prenotazioni. Presto daremo comunicazioni ulteriori. (p.c.)
“La nostra Patria sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra Patria è la nostra Fede, la nostra terra. Ma la loro patria, cos’è? Lo capite voi? Vogliono distruggere i costumi, l’ordine, la Tradizione. Allora che cos’è questa patria che sfida il passato, senza fedeltà, senza, senz’amore? Questa patria di disonore e irrilegione? Per loro la patria sembra non sia che un’idea; per noi è una terra. Loro ce l’hanno nel cervello: noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida. E’ vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e vogliono fondare sull’assenza di Dio. Si dice che noi siamo i fautori delle vecchie superstizioni…Fanno ridere! Ma di fronte a questi deoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio. La gioventù della fedeltà”François Athanase Charette de la ContrieComandante vandeano
La Resistenza della “Fedelissima” Civitella del Tronto è la più bella e commovente pagina dell’Antirisorgimento perché scritta col sangue da un pugno di uomini, soldati e sudditi fedeli a Re Francesco (Dio guardi!), che si opposero, sacrificando la loro vita, all’invasione massonico rivoluzionaria e alla ferocia belluina di un esercito invasore di fronte al quale impallidisce la ferocia nazista…E anche quest’anno 2020, domenica 15 marzo, saliremo alla Rocca per far garrire di nuovo, ai piedi del Gran Sasso coperto di neve, il vessillo biancogigliato che ancora sventolava quel mattino del 20 marzo 1861 sull’ultima cinta muraria, quando aperta “Porta Napoli” da mani traditrici — quante volte quelli che si fanno scudo del “Non mi arrendo”, ma non nel cuore, sono i primi a tradire con fellonia!) — quelle stesse mani che, in precedenza, avevano combattuto a Civitella, forse covando già nei loro cuori il tradimento…
Non so se ricordate la lettera di Guareschi a don Camillo, apparsa su “Italia in graticola”, dove il prete viene esortato a “non mollare!” e a resistere di fronte alle innovazioni liturgiche del Concilio e alla nuova Messa di Lutero; forza!, dice Giovannino a don Camillo, raccogli tutto la il tuo “armamentario” e, nella Cappellina del Filotti, continua a celebrare la nostra Messa, la stessa Messa che celebrò Gesù nell’ultima cena, la Messa di sempre e di tutti: “Coraggio don Camillo quando i generali tradiscono c’è bisogno dei semplici soldati…”E quando il Comandante Giovine, dimenticando il suo passato eroismo, tentò di arrendersi al nemico, furono i soldati semplici e i “cafoni” — i quali si erano recati a Civitella per difendere le loro famiglie, le loro case, i loro averi, la propria identità e loro Patria come la intendeva Monsieur Charette, come la intendono gli uomini della tradizione — che si ammutinarono e che rinchiusero il loro capo in prigione. Lo stesso fecero con il vile Ascione che, fuggito nottetempo, aprì, ai lanzichenecchi tricolorati invasori, Porta Napoli. Fu il Sergente Messinelli, l’eroe di Civitella, a prendere il Comando della Piazza.Loro volevano combattere, spes contra spem, e così non si arresero neanche ai messaggeri di Re Francesco (Dio guardi!) che comunicavano la resa di Gaeta e, poco dopo, quella di Messina, ma fecero garrire al vento, mentre si levava “nel sole” una triste canzone di guerra, quel vessillo gigliato e ricamato in oro, mandato dalla Regina Sofia la quale, come loro, aveva combattuto sugli spalti della Cittadella di Gaeta, sfidando le pallottole nemiche e il “feral morbo”, il colera.La sorte degli ultimi difensori di Civitella del Tronto, era ormai segnata, dopo le stragi di Casalduni e Pontelandolfo, dopo le fucilazioni di massa, dopo i rastrellamenti e le uccisioni, con processo sommario, dei così detti “briganti” e dei loro “manutengoli”… che talvolta erano poveri pastorelli che avevano un pane intero nella saccoccia… troppo per un bambino e dunque sospetto di aiutare i “briganti” e fucilato, perché “manutengolo”…Del resto il Generale Pinelli, quello che aveva fatto fucilare una coppia di giovani sposi — intimando loro, durante l’esecuzione di cantare “Fratelli d’Italia” — che lo avevano ospitato in casa, in quanto, nottetempo, aveva trovato nella cantina, dove, ebbro di vino, si era recato a far scorta di bottiglie, una vecchia oleografia dei Reali Napolitani… poi il 3 febbraio il Pinelli, come se ce ne fosse stato bisogno, dopo alcune “sortite” dei valligiani che appoggiano la Resistenza lealista di un pugno di uomini coraggiosi, getta davvero la maschera ed emana il famigerato bando che suscitò l’orrore e l’indignazione di tutte le Cancellerie Europee che guardavano con ammirazione l’eroismo dei soldati borbonici e dei civitellesi:
“Ufficiali e soldati! Un branco di questa progenie di ladroni ancora si annida fra i monti, correte a snidarli e siate inesorabili come il destino. Noi li annienteremo, e schiacceremo il sacerdotal vampiro che con le sozze labbra succhia da secoli il sangue dell’Italia nostra, purificheremo col sangue e col fuoco le regioni infettate dall’immonda sua bava…”
Perfino il Cavour fu costretto ad allontanarlo — seppur per poco — dal comando e sostituirlo con un altro, un cialtrone disertore dell’esercito napoletano passato, “compro con oro”, al nemico: il Generale Luigi Mezzacapo che su Civitella scatena l’inferno. Da quel giorno ben ottomila bombarde colpirono la Cittadella e quando fu aperta Porta Napoli, finalmente entrarono il 20 maggio alle 11 del mattino del 1861 i bersaglieri con tutto lo Stato Maggiore e la fanfara — sulla Piazzaforte sventola ancora il vessillo biancogigliato dell’onore e della fedeltà — e il Mezzacapo provvede immediatamente a far arrestare e a fucilare a Porta Napoli il Comandante la Guarnigione il Sergente Angelo Messinelli e il Capo della Resistenza Sopito di Bonaventura, rei di non essersi arresi e di aver continuato a combattere per il loro Re. Niente processo ma solo questa frase in un telegramma inviato a Cavour: “Ho creduto di dover dare un pronto esempio facendoli fucilare!”
Poi fu la volta del Cappellano militare padre Leonardo Zilli da Campotosto, francescano… Animo grande e cuore generoso, il padre Leonardo ogni giorno celebrava davanti alla truppa la S. Messa e dava la Sacra Particola ai soldati che andavano così, sereni, a pugnare per la propria Patria. Non si risparmiò mai il buon padre Zilli e, mentre portava conforto ai malati e ai moribondi, andava da una parte all’altra per incoraggiare combattenti e popolani, per persuadere, con parole di fuoco, a non cedere di fronte agli assalti del nemico, né alle loro minacce, né alle loro promesse, né a tutti gli inganni che tendevano per convincere alla resa:
“La setta massonica — ripeteva il francescano — è colpevole delle sventure italiane, nemica della Religione e del Papa, apportatrice, con le nuove idee materialiste, di inganni, di corruzione, di catastrofi future per l’Italia e per il mondo intero”.
Fra’ Leonardo Zilli fu fucilato alla schiena e gli fu negata — ultima infamia dei “Fratelli d’Italia” — l’Eucarestia. Poi i volgari assassini continuarono a fucilare senza pietà anche nei giorni successivi.
I soldati superstiti furono portati ad Ascoli Piceno e, da lì, nelle prigioni piemontesi e nel Lager (anche in questo caso i nazisti arrivarono dopo i Savoia) di Fenestrelle dove perirono miseramente.
Pucci Cipriani