Tratto da: Rassegna stampa Totus Tuus e da La Verità 19 aprile 2022
Da La Verità 19 aprile 2022
«Poche coppie e con una scarsa propensione a procreare»: Roberto Volpi, statistico, indaga sulle cause che stanno portando la Penisola a spopolarsi.
di Francesco Borgonovo
Roberto Volpi, statistico tra i più noti in Italia, ha appena dato alle stampe per Solferino un libro dal titolo inquietante, ma che dovrebbe essere letto da tutta la nostra classe politica, perché contiene alcune informazioni e analisi da cui non possiamo prescindere se non vogliamo disintegrare il nostro futuro. Si intitola Gli ultimi italiani. Come si estingue un popolo e, a differenza di ciò che può sembrare a uno sguardo superficiale, non è molto distante dal saggio che Volpi ha pubblicato subito prima, intitolato Dio nell’incerto (Libreria editrice goriziana).
Perché la questione demografica e quella religiosa siano molto legate non è difficile da intuire, ma lo studioso ci ha fornito molti dettagli nel corso della conversazione che segue, che nasce come un dialogo in diretta radiofonica su Radio Libertà.
Professore, cominciamo dal punto centrale. Davvero gli italiani sono avviati all’estinzione?
«Non sappiamo, perché non abbiamo alcun precedente, se possa estinguersi una popolazione moderna. Certo e, però, che, se dovessimo individuare alcune popolazioni nel mondo più vicine a questo rischio di estinzione, beh, tra queste ci sarebbe senz’altro quella italiana. Io non so se gli italiani si estingueranno, non sono un chiromante, ma so che l’Italia perderà molti abitanti e che quindi diventerà un’altra Italia: con una fotografia, se si riducono le dimensioni, tutto resta inalterato, ma con la popolazione non funziona così».
E come funziona allora?
«Ci sono due ragioni per cui una popolazione si riduce: si nasce meno e si muore di più. Semplice. Diminuendo il numero di abitanti, c’è minor vitalità, ci sono meno giovani che possono fare ancora figli e ci sono sempre più vecchi. Quindi l’Italia, in questo momento, non ha le condizioni per una ripresa. È questo, il punto drammatico. L’Italia sta perdendo abitanti, ne perderà di più nel futuro e non ha le condizioni per una ripresa».
Secondo lei, non ci sono le condizioni perché avvenga una ripresa demografica. Perché?
«L’Italia, da alcuni anni, sta attraversando una perfetta tempesta demografica che potrebbe affossarla. Questa tempesta si basa su tre elementi. Il primo: mancano le donne in età feconda, cioè quelle tra i 15 e i 49 anni di età. Nel mondo, la percentuale di queste donne sul totale della popolazione femminile è pari al 49% per cento. In Europa questa percentuale scende sotto il 43%. In Italia non arriva al 39%. come se avessimo un “motore per figli con una potenza limitata, insufficiente».
Il secondo elemento?
«Avendo poche donne, bisognerebbe che queste donne facessero parte di coppie, sposate o almeno coppie di fatto. Invece abbiamo poche coppie, troppo poche. L’indice di matrimoni annui è il più basso in Europa, con tre matrimoni annui ogni mille abitanti. Alive!-lo europei siamo attorno ai 4,3. Negli anni Sessanta ne avevamo otto: oggi siamo a un terzo. Ma non abbiamo nemmeno un numero sufficiente di coppie di fatto, cioè non sposate, che abbiano una vita comune tale da compensare le pochissime coppie unite in matrimonio. Anche le coppie di fatto, in Italia, non raggiungono i numeri dell’Europa continentale. Io ho fatto una valutazione piuttosto precisa: annualmente, sono 200.000 le coppie che abbiano l’età per fare figli. È un numero estremamente basso».
Parlava di un terzo elemento problematico.
«Si, ed forse quello su cui si potrebbe agire di più. Il punto è che le coppie in Italia non soltanto sono poche, ma hanno anche una bassa propensione a fare figli».
C’è un capitolo molto bello nel suo libro, intitolato «La fatica del figlio e il tornaconto del poco», che a mio avviso fornisce qualche spiegazione sul perché queste coppie tendano a non fare figli. Spesso si pensa che alla base ci sia soltanto una questione economica, ma a me pare che sia solo una parte del problema. Ci sono dei motivi culturali, spirituali, intellettuali per cui si tende a non fare figli, o sbaglio?
«Come ha detto lei, anche l’idea della continuazione della specie non la sentiamo molto. Non abbiamo questa spinta. Ciò che è cambiato rispetto al passato è che, prima, l’ingresso vero nell’età adulta e nella società avveniva attraverso il matrimonio e i figli. Una persona contava se aveva una famiglia e dei figli. La porta d’ingresso era costituita da famiglia e figli. Ebbene, questo ingresso è stato chiuso, o comunque è cambiato. C’è l’idea che il posto si conquista, che si.. può entrare in società in qualunque momento.
E questo, ovviamente, incide sulla questione figli. In ogni caso, non si tratta soltanto di problemi materiali, cioè non si fanno figli solo perché è diffusa l’incertezza sentimentale ed economica. E’ chiaro che ci sono questi elementi, ma ce ne sono anche altri. I figli sono una sorta di spinta in avanti. Un tempo era attraverso i figli che si cercava di conquistare nuovi traguardi. Oggi. invece, i figli sono la risultante di una vita che ha già percorso tutte le proprie tappe».
A tale proposito, parlare di egoismo sarebbe banale e forse anche ingiusto. A me pare, però, che al fondo di questi problemi ci sia una malintesa idea di libertà, l’idea che i figli non siano uno slancio verso l’avvenire, ma, alla fine dei conti, un impedimento…
«Dobbiamo considerare con attenzione due fattori. Il primo è la fatica di fare un figlio. A volte si sottovaluta questo aspetto, ma oggi, anche giustamente, la donna viene monitorata sin dai primi istanti. Esami, visite, divieti, limitazioni. La gravidanza è diventata un terreno minato. Si è sempre in osservazione, ed è come se la donna diventasse semplicemente «quella che deve fare il figlio».
Non conta più in quanto donna, conta in quanto fattrice. Il percorso per fare un figlio è un percorso di guerra. Finito questo percorcorso, si è indotti, dunque, al pensiero di non fare altri figli. Perché se ne ha abbastanza di questo percorso tanto faticoso. Il secondo punto, è che si cerca un equilibrio tra la vita personale e la vita di relazione, che comprende la vita professionale. E questo equilibrio si trova con il figlio unico».
Parlava del faticoso percorso che precede la nascita.. Ma in qualche modo, quella fatica continua. Oggi sui bambini si proiettano aspettative enormi, che possono rivelarsi troppo pesanti da sopportare, in primis per i genitori. Poiché i figli sono pochi, devono essere in qualche modo perfetti. Il che, talvolta, li porta a divenire piccoli tiranni in famiglia.
«Anche questa è la fatica del figlio. Soprattutto nelle società occidentali si ripongono nel figlio tante aspettative e si cerca di facilitare il suo percorso di crescita, cosa che si rivela una fatica terribile per i genitori. Non è un caso che la modalità di filiazione preferita sia, come dicevo, il figlio unico. Ci si ferma a un figlio, cosa che consente un equilibrio accettabile. Intendiamoci: è già qualcosa, nel mondo di oggi, che si faccia un figlio.
Per la società, però, è una modalità che conduce all’affossamento, è un dramma per la popolazione. Cento donne inetti feconda arrivano alla conclusione del loro tragitto di fecondità in questo modo: 25 senza figli, 40 con un figlio, 30 con due figli, 5 con più di due figli. Due donne su tre chiudono la loro esperienza feconda avendo al massimo un figlio. E un quadro tragico».
Servono misure economiche, di sicuro. Ma forse serve anche un cambiamento di mentalità. E, forse, qui entra in gioco la fede, perché spesso I credenti sono quelli che tendono ad avere più figli.
«Se noi prendiamo due serie storiche, dal secondo dopo guerra a oggi, con, di anno in anno, il numero di nati e il numero di matrimoni religiosi, si vedrà benissimo che il crollo del matrimonio religioso è legato al crollo delle nascite. Tanto è crollato il matrimonio religioso, tanto sono crollate le nascite. C’è una concordanza assoluta tra questi due dati. Il matrimonio religioso, per le sue condizioni di maggiore stabilità, rappresenta o ha rappresentato l’habitat migliore per i figli.
Il matrimonio religioso ha una più ampia propensione ai figli, è indiscutibile: la sua indissolubilità sancita dalla dottrina si concretizza nei figli, ne ha bisogno. E, infatti, da sempre, il matrimonio religioso è stato uno stimolo per fare figli. Il senso della crisi demografica italiana ha la sua base nel crollo del matrimonio religioso. E credo che di questo tema anche la Chiesa dovrebbe occuparsi molto seriamente, e molto di più.