tratto da Radio Roma Libera
di Roberto de Mattei
La Siria, su cui in questi giorni è concentrata l’attenzione di tutto il mondo, è un paese antico e travagliato, che ha avuto l’onore di essere ricordato nel Vangelo, assieme al suo governatore Quirinio, nel passo in cui san Luca rievoca con lo stile sobrio che gli è proprio il mistero della Natività.
“In quei giorni – si legge – un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio” (Lc, 2, 2).
Publio Sulpicio Quirinio era nato nei pressi di Roma, a Lanuvio, attorno al 45 a. C., ed era governatore della Siria, una delle province più importanti dell’impero. Da lui dipendeva anche la Giudea, prefettura romana della Siria. La scuola storica protestante ha accusato san Luca di un errore storico, affermando che il censimento sarebbe avvenuto qualche anno dopo la nascita di Gesù, ma fornendo prove contraddittorie. Noi ci atteniamo ai Vangeli, che sono divinamente ispirati, e seguiamo il racconto di san Luca: “Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc, 2-3- 7).
Soffermiamoci su quest’ultima frase come fonte di meditazione. Il testo latino dice “Quia non erat eis locus in diversorio”. Il Vangelo non si limita a dire che “non c’era posto”, ma aggiunge “”per loro”. La mancanza di posto non era dunque assoluta. Per altri, non per loro, il posto c’era.
Il termine che segue: “nell’ albergo”, può dare adito a confusione, perché traduce in maniera imprecisa, il latino diversorium, che non ha solo il significato moderno di albergo, ma anche quello, più generale, di alloggio, di rifugio, di asilo. Giuseppe, giunto a Betlemme, cercava un luogo conveniente per poter alloggiare la sua sposa, provata, come lui, dal freddo e dalla stanchezza del cammino. Avendo a Betlemme dei parenti, della casa di Davide, è logico immaginare che si sia prima rivolto ai componenti della sua tribù e famiglia, ma essi gli rifiutarono l’ospitalità. Giuseppe ai loro occhi era solo un nobile decaduto, un parente povero e per di più imprevidente, per essersi messo in viaggio con un clima così rigido e senza avere la certezza di un alloggio.
San Giuseppe iniziò allora a chiedere un posto nelle locande, ma il paese era pieno di forestieri, gli alberghi erano gremiti e la risposta era sempre negativa. Le sue richieste erano ben giustificate dallo stato di gravidanza avanzata di Maria. I due sposi, inoltre, non avevano certo l’apparenza di malfattori o di vagabondi. La tranquillità dolce e afflitta di Giuseppe rivelava un uomo superiore, ma i locandieri non vollero cogliere la luce che rifulgeva dietro le sue buone maniere e la sua dignitosa povertà. San Giuseppe, principe della Casa di Davide, sposo di Maria Santissima e padre putativo del Verbo Incarnato, dovette affrontare il rigetto di uomini mediocri e volgari e in ciò, osserva Plinio Correa de Oliveira, sta tutta la sua eroica grandezza.
Non c’era posto per loro e forse essi stessi non vollero trovar posto, neanche nel “caravanserraglio”, il grande spazio a cielo aperto in cui si ammassavano uomini e bestie, tutto alla rinfusa in uno spirito di confusione ben diverso dallo spirito di raccoglimento che avrebbe dovuto circondare la nascita del Divin Salvatore. Ciò non conveniva al riserbo e al pudore della Madre di Dio. Madre Cecilia Baij, nella sua Vita del glorioso patriarca san Giuseppe ci dice che il cuore dello sposo era sempre più afflitto, anche perché attribuiva a sua colpa l’angosciosa situazione. Maria lo consolava, dicendogli che tutto era permesso da Dio per i suoi altissimi fini.
Per divina ispirazione Giuseppe ricordò come fuori di Betlemme vi era una spelonca che serviva per ricovero di bestie ed egli decise di andare in quella per non stare nella strada pubblica. Padre Serafino Lanzetta ha ben confutato gli esegeti protestanti e modernisti, secondo i quali la grotta della nascita di Gesù a Betlemme, su cui è stata costruita la Basilica della Natività, non sarebbe il luogo della nascita di Nostro Signore (https://www.corrispondenzaromana.it/notizie-dalla-rete/la-nascita-di-gesu-in-una-povera-grotta-perche-e-cosi-rilevante-per-la-fede-nel-verbo-incarnato/). Fu invece proprio in quel luogo e in quella notte che cambiò la storia del mondo.
La grotta era libera e disabitata. Giuseppe e Maria vi entrarono ed ebbero un’intima consolazione, più grande che se non fossero entrati in un sontuoso palazzo. Essi compresero che era volontà di Dio che in questo luogo nascesse il Salvatore dell’umanità.
Il mistero di Betlemme prefigura quello del Calvario. Gesù, Figlio di Dio, Re dell’universo, Signore di tutte le cose create, da cui dipende tutto ciò che esiste in Cielo e in terra, veniva a cercare un alloggio, ma non trovò chi l’accogliesse. Fin dalla sua nascita il Verbo Incarnato fu rifiutato dal suo popolo. Questo rifiuto era il simbolo visibile del rifiuto della Redenzione.
Nell’ incipit del Vangelo di san Giovanni leggiamo: “In propria venit et sui eum non receperunt”(Gv, 1, 11). “Venne nella sua casa e i suoi non lo ricevettero”.
E’ il mistero del Messia che nell’ora della nascita non fu riconosciuto dalla sua città e nell’ora della morte fu rifiutato, deriso, insultato, e ucciso dal popolo eletto.
E’ il mistero delle persecuzioni e dell’incomprensione che circondano coloro che vogliono seguire le orme del Divino Maestro. Il mondo non ha posto per essi.
Eppure quanto sarebbe stato felice, quante grazie, quante ricchezze spirituali avrebbe ricevuto, colui che avesse ospitato il Signore nella Sua casa. E quanto può essere felice chi oggi lo ospita nel suo cuore. Può assaporare quella atmosfera di gioia che inebriò tutti i visitatori della santa Grotta di Betlemme, non per la bellezza, lo sfarzo e l’accoglienza del luogo, ma per lo straordinario compimento della profezia di Isaia: “Puer natus est nobis, filius datus est nobis” (Is 9, 5): “Un Bambino è nato per noi”. Un fatto emozionante, confermato dalle parole degli Angeli: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Roberto de Mattei)