Ancor oggi se qualcuno, passato il Tabernacolo della Giustizia e il Palazzo dei Vicari, si avventurasse – pedibus calcantibus – su per i monti a settentrione della bella Scarperia, dove il vento rovaio gioca con la neve fino a primavera, ritroverebbe ancora una sorta di Mugello incontaminato; insomma un mondo non lontano da quello descrittoci da don Matteo Pinelli – secondo il Brocchi originario di Parma – che fu, nel 1600, priore a Cerliano, sull’Appennino a Nord di Scarperia , di quella Scarperiache fu terra natale del Clasio.
Fa molto piacere leggere o rileggere, a distanza di oltre quattrocento anni, gli scritti di questo prete che verga, nella solitudine delle montagne, un piacevole “Zibaldone”, contenente il riassunto delle stagioni in ogni fine anno, dal 1606 al 1663, per cinquant’otto anni di seguito.
E insieme allo “Zibaldone”, il nostro cronista compilò anche i “Ricordi” che in maggior parte trattano degli avvenimenti del Mugello, con qualche volo pindarico sulle vicende italiane ed europee come, ad esempio, nel 1618 : “(…) cometa di novembre. Morte dell’Imperatore Mattia la regina si ritirò dal figlio” ed ancora nel 1632 : “il re di Svezia fé guerra con l’imperatore e alla fine rimase morto in fazione. Papa Urbano pose sei decime, riformò inni e messe nuovi santi nel breviario” che, certamente, avrebbero compensato lo stuolo di Santi tolti, con scempio, dallo “spirito” del Concilio Vaticano II.
Ma il vero pregio dell’opera di Matteo Pinelli è senz’altro quel suo stile scorrevole e fresco, toscano, schietto ed essenziale .
Dunque, nel 1605, muore in quel di Cerliano don Bartolomeo Pinelli, zio di Matteo e, il giorno stesso del suo funerale, si riuniscono i quaranta capifamiglia padroni della chiesa alla presenza del vicario di Scarperia , in rappresentanza del Granduca, per eleggere il nuovo priore. Immaginiamo la “Guerra” che fu combattuta, dietro le quinte, per impedire l’elezione del povero Matteo che all’epoca (1605) non aveva ancora cantato messa, se si pensa che in lizza c’erano, tra gli altrii, ben sette preti scarperiesi, che non avrebbero disdegnato la cura di quella parrocchia con i suoi poderi. Ma i reverendi scarperiesi non ebbero fortuna perché non riuscirono a superare la coppia, salvo uno che arrivò alla mezza dozzina di palle nere (“il bianco imbianca e il nero approva” secondo la tradizione di allora) con le quali si votava, e l’altro p. Iacopo Giovannini da Ponzalla , che sfiorò la dozzina; così : “io Matteo Pinelli da Cerliano, chierico di ordini minori (ebbi) voti trentacinque (…) Per grazia di Dio e degli elettori fui superiore di voti con molto applauso di gran popolo, che quivi era concorso”. L’anno di poi, il 1606 il priore di Cerliano inizia la compilazione del suo “Zibaldone” : “l’anno fu sterile, perché la primavera andò molle : la montagna fece bella mostra di grani e biada(…) un vento di tramontana furioso del mese di giugno, seccò i grani e fieno. Però il grano fu poco e mal granito, le biade furono manco (…) Fu manco marroni che altro (…)- Universalmente fu poco vino.”
Anno nero, insomma, a differenza del 1610 ove : “Le stagioni (…) furono belle. Fu assai grano, biade e marroni, fu poco vino ma buono. Valse il grano 4 lire lo staio, il vino 9 il barile (…) valse il cacio lire 52 il cento. Il grano fu carissimo. Non si sentirono novità. Bellissime le sementi”.
Ogni tanto, nel suo Chronicon, don Matteo Pinelli ci ricorda anche le sue vicende familiari come la morte della sorella o della mamma . “donna quieta e piuttosto malinconica, e però vaga di starsene in casa con la sua famiglia, fu timorata di Dio e caritatevole de’ poveri (…) Piaccia a Dio che la rivegga in paradiso” Quindi vengono annotati gli episodi di cronaca nera quando, ad esempio, nel 1614 : “si scoprirono due assassini di strada , paesani tra San Piero a Sieve e Vaglia. Ammazzarono due persone: furono presi e impiccati nel luogo del malefizio”.
Terra “ballerina” da sempre il Mugello ci ha regalato e ci regala tuttavia forti terremoti e così il Pinelli nei suoi “Ricordi” ha materia per descrivere questa calamità che distrusse, nel 1611, parecchi dei paesi e dei casolari della vallata; inoltre il cronista di Cerliano nota, con stupore fanciullo, che, nonostante il terremoto “battesse” di notte “con tutto ciò nessuno rimase morto (per cui) si fecero orazioni quaranta ore e processioni fino alla Sant.ma Nunziata di Firenze”
I morti si ebbero invece con la peste del 1630 che: “entrò nella Toscana, e si scoperse a Trespiano e quindi passò a Firenze (…) Quelli del Borgo San Lorenzo che sono ogni dì a Firenze la condussero in Mugello; tra loro morirono in tutto il tempo più di duecento persone”.
L’opera del Pinelli è stata pubblicata ai nostri tempi in Firenze : “Zibaldone di p. Matteo Pinelli priore di Cerliano” a cura di Carlo Lapucci e Sergio Pacciani, PagniniEditore, Firenze 1997. Senz’altro Nicola Lisi, lo scrittore scarperiese autore del celeberrimo : “Diario di un curato di campagna” si ispirò, nella stesura della sua fortunata opera, al Pinelli, come rivela anche Carlo Lapucci nella sua prefazione all’edizione del 2009 del “Diario” :“Il testo del Pinelli, sfogliato anche sommariamente date le non poche difficoltà presentate dalla decifrazione , può aver costituito un punto di riferimento per quanto riguarda un’idea della vita del passato, lo spirito col quale un uomo religioso abitò quelle terre nei secoli andati, vedendo in una luce diversa le cose. Proprio quanto traspare dalle scarne parole di Matteo Pinelli : quella pazienza, quella fiducia, che non sono rassegnazione , quell’oggettività, quell’essenzialità che non sono indifferenza, quella presenza forte e non invadente della trascendenza in ogni fatto del mondo, infine quell’equilibrio tra il mondo interiore ed esterno che è la via alla pace e alla serenità (lisiane)” (Cfr- Prefazione di Carlo Lapucci al “Diario di un parroco di campagna” di Nicola Lisi – Ed. Cantagalli 2009, Siena)
Insomma un motivo di più per andare a leggersi o ri – leggersi sia lo Zibaldone del Pinelli sia il Diario di Nicola Lisi.
Gaddo de Grandville (Pucci Cipriani)