Il grande Giovannino Guareschi, "padre di don Camillo"

“Protesto perchè nessuno dice a questi giovani: diffidate di chi vi sorride e vi dà importanza eccezionale. Vuole rifilarvi un giornale, un libro, un disco, una rivista pornografica, un intruglio gassato, una chitarra, un allucinogeno, un pillola, una scheda elettorale, un cartello, un manganello, un mitra. Protesto perchè sono stato giovane e buggerato come saranno irrimediabilmente buggerati i giovani d’oggi…” Giovannino Guareschi

 

Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi è lo scrittore italiano più tradotto al mondo e uno tra gli scrittori italiani più venduti con oltre 20 milioni di copie. Nato nel 1908 a Fontanelle di Roccabianca in provincia di Parma, milanese d’adozione, fu capo-cronista della Gazzetta di Parma prima e caporedattore della rivista della Rizzoli pubblicata a Milano “Il Bertoldo”. “Il Nostro” è un fervente cattolico, grande giornalista e scrittore, monarchico, anticomunista, uomo di grande umorismo e coraggio, caposaldo della Tradizione. La sua creatura più conoscita è Don Camillo che si contrappone al sindaco comunista del paese, e amico, Peppone. Le vicende del prete della Bassa vengono raccontate in tutto il mondo attraverso romanzi, film e ben 346 episodi televisivi. La storia è ambientata in un paese immaginario e sarà poi riprodotta sugli schermi televisivi e ambientata nei paesi di Brescello e Boretto.  Da segnalare nel corso del 2018 le innumerevoli iniziative, le citazioni e gli articoli su Guareschi e don Camillo. Per chi non vuole rinunciare a dei piacevolissimi approfondimenti, ricordo i ben due articoli contenuti nel numero 128 della rivista, e organo ufficiale dell’Anti 89, “Controrivoluzione” diretta da Pucci Cipriani, le dodici pagine del dossier “Guareschi uno di noi” contenute nel numero 175 del mensile di apologetica “il Timone“, i circa 30 numeri del quotidiano indipendente “La Verità” che nel corso del 2018 hanno dedicato intere pagine e talvolta anche più articoli in ciascun numero sugli attualissimi Guareschi e don Camillo, tra questi segnalo l’articolo dell’arcivescovo George Gänswein, prelato d’onore di Sua Santità Benedetto XVI e prefetto della Casa Pontificia, dal titolo “Un prete contro il clero e con il popolo che non nasconde nulla della sua fede” uscito sul quotidiano di Belpietro il 25 novembre.  Ma Guareschi e la sua amata creatura, a parte talune preziosissime eccezioni che tengono viva la memoria, purtroppo vengono abitualmente censurati o denigrati non solo dai media tradizionali ma soprattutto anche da quelli che si professano cattolici. A tal proposito evidenzio che nel corso di tutto il 2018 il quotidiano online della Diocesi di Bergamo  Santalessandro.org, noto per essere più un organo politico della sinistra sessantottina del PD che uno strumento di cura delle anime o di corretta informazione, non ha dedicato nessun articolo ai cinquant’anni dalla morte del grande scrittore cattolico ma piuttosto lo ha schernito attraverso un articolo del solito don Alberto Varinelli, quello che ha voluto mettere bocca in una importante e grave vicenda attaccando l’arcivescovo Carlo Maria Viganò anzichè il sodomita e pedofilo ex cardinale Theodore McCarrick, messo allo scoperto da Viganò. In questo caso Varinelli coglie l’occasione per farsi beffa di don Camillo nel difendere il discusso e indifendibile prete “hippie”, che si rifiuta di fare il presepe per il Santo Natale, don Luca Favarin (santalessandro.org). Di seguito riporto il mio commento a tale articolo che il quotidiano online diocesano, come sempre, ha sovieticamente censurato (vengono pubblicati solo i commenti in accordo o tiepidi, oppure quelli che non hanno né capo né coda): 

“La più grande offesa è quella fatta al Cristo da un prete che si rifiuta di fare il presepe, non mi meraviglio che il vostro quotidiano scelga di approvare tale posizione al fine di screditare tutti i presbiteri zelanti che si vestono da prete e fanno il prete, strumentalizzando qualche singolo commento su Facebook come i ragazzi e facendo di tutta un’erba un fascio. Anche voi come don Favarin siete d’accordo nel non fare il presepe, complimenti. Ritengo che don Favarin dovrebbe evangelizzare dato che ha scelto di fare il prete invece di censurare il Cattolicesimo. Ad ogni cattolico vero dovrebbe ribollire il sangue nelle vene dinanzi a simili posizioni, altro che tiepidi discorsi di approvazione e tolleranza! Si può tollerare che queste posizioni siano quelle degli atei ma non dei preti Santo Cielo! Inoltre ritengo che la sciatteria di certi preti ciuffoni, in braghette, in canottiera, che celebrano con i colletti slacciati e che impartiscono la comunione con bracciali penzolanti che rischiano di finirti anche in bocca, certo non aiutino ad avvicinarsi e a coltivare la Fede ma piuttosto banalizzino e desacralizzino il Sacro. Oltre alla sostanza è necessaria anche la forma, altrimenti non esisterebbe nessuna liturgia e ognuno celebrerebbe a modo suo, a seconda delle proprie idee, ideologie, umore.. La crisi della Chiesa nasce proprio dallo stravolgimento della Santa Messa secolare ricca di tesori. Non mi meraviglio neppure che voi “pesci rossi dell’acquasantiera” e “don Chichì”, come direbbe il Nostro Giovannino Guareschi (grande cattolico e autore italiano più tradotto al mondo), del quale quest’anno ricorrevano i 50 anni dalla morte, disprezziate il suo ruvido prete della Bassa don Camillo, simbolo in tutto il mondo dell’autentico attaccamento a Cristo e al Suo gregge e contrario all’ateismo di stato russo.” 

Giovannino non aveva paura di contrapporsi a nessuno, non rinnegava le proprie idee e la propria fede, accettava le conseguenze di tutto questo come delle croci e delle medaglie al valore. Durante la seconda guerra mondiale fu tenente di artiglieria e deportato dai nazisti nei campi di concentramento polacchi e tedeschi per circa due anni, dai quali tornò con un peso di quaranta chili e con la sua opera “La Favola di Natale”. Inoltre denunciò gli omicidi politici compiuti dai partigiani comunisti in Emilia Romagna nel cosiddetto “triangolo della morte” o “Messico d’Italia”. In occasione del referendum del 1946 si schierò a favore della monarchia e denunciò “i brogli delle calcolatrici dell’Onorevole Romita”. Fu insignito dall’esiliato Re Umberto II di Savoia dell’onorificienza di Grand’Ufficiale della Corona d’Italia. Celebre il suo motto: “Compagni, nel segreto dell’urna Dio vi vede Stalin no”. Fu condannato a otto mesi per una vignetta che ritraeva una bottiglia di nebbiolo con la raffigurazione di Luigi Einaudi, il quale realmente ostentava la propria carica politica sulle bottiglie di sua produzione, è stata la prima condanna per vilipendio del Capo dello Stato. Fu poi condannato in primo grado a dodici mesi per la pubblicazione di due lettere attribuite all’allora capo del Governo, il democristiano Alcide De Gasperi, che personalmente lo denunciò. Le lettere saranno fatte distruggere dai magistrati e Guareschi, ritenendo di aver subito un processo di parte, accolse a testa alta la condanna e la galera, senza neppure voler ricorrere in appello. Giovannino Guareschi muore a Cervia il 22 luglio 1968, l’Unità all’indomani della sua morte scriverà “Malinconica fine di uno scrittore che non era mai nato”. Ci rimangono le sue meravigliose opere, il suo esempio, i suoi nemici.

 

Filippo Bianchi, 7 gennaio 2019

fonte sessantottodellachiesa.it