di Roberto de Mattei

tratto da Radio Roma Libera

Tutto il mondo, l’8 dicembre 2024, ha ammirato lo splendore di Notre-Dame, ricostruita dopo il devastante incendio del 15 aprile 2019, in tutta la bellezza delle sue vetrate, delle sue torri, e soprattutto della sua guglia centrale. E tutto il mondo ha definito un vero e proprio miracolo lo sforzo collettivo che ha permesso di compiere l’opera di restauro in soli cinque anni.

Ma perché la bellezza della cattedrale di Notre-Dame ci emoziona? La ragione è che, dietro la sua bellezza, la nostra intelligenza e il nostro cuore colgono una verità profonda. Il bello infatti è sempre vero e il vero è sempre bello. Qual è questa verità? I costruttori di Notre-Dame si sono ispirati a un’idea di ordine, di misura, di armonia, che hanno espresso in luce e in pietra. Quest’idea è una concezione del mondo, ordinata a Dio, la stessa concezione del mondo architettonica che è espressa nella Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino e in quell’altra summa del pensiero umano che è la Divina Commedia di Dante Alighieri.

Anche Notre-Dame può essere considerata una “summa theologica” in pietra, vetro e luce: una visione unitaria dell’universo, di cui solo la liturgia tradizionale della Chiesa può esprimere la verticalità, lo slancio verso Dio, lo spirito contemplativo.

Come può Laurent Ulrich, cardinale di Parigi, non comprendere il contrasto tra questa visione del mondo e la desacralizzante liturgia di riapertura della cattedrale celebrata l’8 dicembre? Come può il presidente francese Emmanuel Macron non avvertire la contraddizione radicale che esiste tra la luminosa cattedrale che egli ammira e l’ideologia tenebrosa che sta dietro ad atti iniqui, come la costituzionalizzazione dell’aborto da lui voluta in Francia?

Ci vorrebbe un miracolo per aprire gli occhi a questi personaggi, così come un miracolo, o almeno un intervento straordinario della grazia è avvenuto la sera dell’incendio di Notre-Dame. Ce lo racconta un protagonista, uno degli eroici vigili del fuoco che sono entrati per primi nella cattedrale in fiamme e hanno contribuito a salvarla (https://les7routes.fr/elementor-3117/).  

 “È stato durante il viaggio che ci siamo resi conto dell’entità dell’incendio. Ciò che mi ha colpito di più all’inizio – racconta il vigile del fuoco – è stata la folla in strada, che ha rallentato la nostra corsa dentro Parigi. I parigini accorrevano per vedere la loro cattedrale bruciare. Quando sono arrivato, sono rimasto molto colpito dalla visione di tutte quelle persone in ginocchio, che pregavano. È stato molto emozionante! Cantavano, pregavano e li vedevamo affranti, erano incredibilmente uniti! È stato molto bello”. Il vigile del fuoco è entrato. L’atmosfera era rovente, il tetto e la guglia centrale cadevano a pezzi, ma tra i detriti e le ceneri risplendeva intatta la croce dorata, situata dietro l’altare principale della cattedrale.

A un certo punto – racconta il vigile del fuoco – mi sono trovato di fronte all’altare e alla famosa croce d’oro che lo sovrasta, che credo tutti abbiano visto dopo l’incendio. Mi sono bloccato per quindici o venti secondi, sbalordito: questa croce brillava, brillava con una luminosità intensa che illuminava la cattedrale, anche se non c’era nessuna luce – era notte. Mi sono detto: “Siamo al sicuro, siamo protetti”. Sì, il Signore era davvero lì, vegliava su di me. Ero certo della sua presenza. Ho avuto un rapporto totale con quella croce. Ho lasciato la cattedrale da convertito”.

La conversione del vigile del fuoco, che non entrerà mai nei libri di storia, ma è entrato nel Libro della Vita, ricorda la conversione, avvenuta oltre un secolo prima, di un celebre scrittore francese, Paul Claudel (1868-1955). 

Era la sera di Natale del 24 dicembre 1886. Il giovane Claudel era uno studente di diciotto anni, che aveva abbandonato la pratica religiosa e vagava per le strade di Parigi, inquieto e insoddisfatto di sé, quando entrò quasi per caso nella cattedrale di Notre-Dame, inondata dal suono dell’organo e dai canti.

 “Io – racconta – ero in piedi tra la folla, vicino al secondo pilastro rispetto all’ingresso del Coro, a destra, dalla parte della Sacrestia. In quel momento capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla. Improvvisamente ebbi il sentimento lacerante dell’innocenza, dell’eterna infanzia di Dio: una rivelazione ineffabile! Cercando – come ho spesso fatto – di ricostruire i momenti che seguirono quell’istante straordinario, ritrovo gli elementi seguenti che, tuttavia, formavano un solo lampo, un’arma sola di cui si serviva la Provvidenza divina per giungere finalmente ad aprire il cuore di un povero figlio disperato: ‘Come sono felici le persone che credono! Ma era vero? Era proprio vero! Dio esiste, è qui. È qualcuno, un essere personale come me. Mi ama, mi chiama. Le lacrime e i singulti erano spuntati, mentre l’emozione era accresciuta ancor più dalla tenera melodia dell’‘Adeste, fideles’ […]”.

Paul Claudel entrò incredulo nella cattedrale e ne uscì convertito. Il mondo moderno vive nell’incredulità ma dobbiamo pregare per la sua conversione alla fede di Notre-Dame, che è la fede cattolica. Dietro questa fede c’è una visione del mondo sacrale e gerarchica, austera e luminosa, che le vetrate della cattedrale esprimono in luce, il canto gregoriano trasforma in suono, il rito tridentino della Messa traduce in atti liturgici. Il mondo moderno pretende di distruggere questa visione del mondo che però è destinata a risorgere, come è risorta Notre-Dame, la cattedrale di luce. Il Santo Natale che si avvicina ce lo ricorda invitandoci a Betlemme, con le note dell’Adeste fideles che toccarono il cuore di Paul Claudel.  (Roberto de Mattei)