Ma tutto ciò cosa ha a che spartire con me? Possiamo immaginarlo, il padre Dante, guardare perplesso e infastidito la cloaca delle ciance e della puzza (per parafrasare il celebre passo del XXVII canto del Paradiso) con Beatrice che, come all’inizio della terza cantica, lo guarda ancora una volta con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro… Ma se per caso si sente stridor degli accenti malefici di Benigni, di sicuro l’Altissimo Poeta non celerà il suo dispetto …o celerà se stesso dietro una provvidenziale nuvoletta.
E così, ci siamo. Il Settecentesimo anniversario della scomparsa di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi è finalmente giunto, dopo un codazzo di chiacchiere, discorsi fuori luogo (soprattutto di politicastri per cui il Sacrato Poema costituisce al massimo un fastidioso e appannato ricordo scolastico) e qualche buon contributo che purtroppo la pandemia ha sovente messo in ombra confinandolo nel purgatorio dell’online.
Peraltro, ai fraintendimenti l’altissimo poeta c’è sin troppo abituato; a partire da quelle Prose della volgar lingua (1525) di Pietro Bembo, con le quali il nobile e pedante letterato veneziano confinava la Commedia in una sorta di limbo per il suo stile a suo dire non abbastanza raffinato, per irrigidire la lingua letteraria italiana in quel rachitico “petrarchismo” che poi la penalizzerà per secoli. Il vertiginoso plurilinguismo dantesco, con cui quel formidabile fabbro del parlar materno aveva creato uno strumento straordinario, duttile e multiforme, avrebbe potuto dare frutti straordinari se adeguatamente coltivato, e invece …
Ci volle il Romanticismo (ma non dimentichiamo le grandi intuizioni di Vico) per ridare al poeta fiorentino il posto d’onore che meritava in una triade di sommi insieme a Omero a Shakespeare. Ma già proprio Giovan Battista Vico, che pure nelle sue scarne note sul poeta fiorentino ha avuto alcune meravigliose intuizioni (come quelle sulla lingua e sul sublime ) incorre in un errore che condizionerà per molto tempo gli studi danteschi, quando afferma: “se egli non avesse saputo affatto né della scolastica né di latino, sarebbe riuscito più gran poeta.”
C’è già, in questa affermazione, la differenza tra il poeta e il teologo di desanctisiana memoria (quasi una sorta di schizofrenia, per cui ad esempio nello splendido episodio di Paolo e Francesca il poeta assolverebbe ciò che il teologo è costretto a condannare); oppure, peggio ancora, il saggiatore del sublime tuttologo Benedetto Croce, che con la sua distinzione poesia/non poesia aveva negato validità poetica a buona parte del capolavoro dantesco, liquidandola sbrigativamente come struttura; quell’antitesi di dottrina e poesia totalmente priva di senso, che solo studiosi come Eric Auerbach e Charles Singleton hanno definitivamente smontato.
Ma qui siamo nel campo sin troppo aureo degli studi e della saggistica. Se scendiamo nel campo ben più trito dell’attualità e della cronaca, allora sì che scendiamo davvero nella cloaca delle ciance e della puzza! Già nel 2012 Gherush92-Comitato per i diritti umani, una organizzazione non governativa che poteva vantare persino una collaborazione con le Nazioni Unite, aveva avviato una campagna per cacciare il poeta di nuovo in esilio, questa volta dai programmi scolastici; motivazione? Dante sarebbe omofobo e islamofobo, nientemeno. Concetti che, nel XIV secolo, sarebbero apparsi del tutto incomprensibili (e comunque anche l’affermazione in sé è del tutto discutibile). In compenso, ora c’è chi parla addirittura di un Dante gay friendly, insomma ce n’è davvero per tutti i gusti
Basterebbe considerare che il sommo poeta è semplicemente cattolico, come lo era del resto a quel tempo quasi tutta l’Europa. Ma dato che oggi il cattolicesimo – o il cristianesimo in generale – è quasi scomparso dall’immaginario collettivo e dal vissuto quotidiano, ecco che certi concetti diventano molto più difficili da comprendere. Non che, beninteso, sia necessario essere cattolici o anche semplicemente credenti per apprezzare la sua poesia e recepire il suo messaggio; ma sicuramente conoscere il contesto storico è quantomeno utile per evitare castronerie degne del Cocito, così come una buona conoscenza della cultura e della religiosità della Grecia antica è senz’altro un ottimo vademecum per la comprensione di Omero, senza che questo comporti la necessità di offrire un’ecatombe a Zeus o a Febo.
La verità è che Dante ci rimane per molti aspetti inafferrabile, sin dalla sua biografia, della quali sappiamo pochissimo di certo. Persino la sua morte è avvolta nel mistero: la vulgata vuole che il poeta sia morto di malaria al ritorno di una ambasceria da Venezia per conto del signore di Ravenna, Guido Novello da Polenta, che lo ospitava; ma la cosa è tutt’altro che certa e si basa solo su una affermazione di Giovanni Villani: “Nel detto anno MCCCXXI, del mese di luglio, morì Dante Allighieri di Firenze ne la città di Ravenna in Romagna, essendo tornato d’ambasceria da Vinegia in servigio de’ signori da Polenta, con cui dimorava. Anche la malaria è solo un’ipotesi: si suppone che Dante l’abbia contratta nel viaggio tra le paludi. Persino per la data esatta, le testimonianze oscillano tra il 13 e il 14 settembre.
Ma ha poi tanta importanza? Certo, sono molte le cose che ci piacerebbe sapere sul conto del sommo poeta. Ma quello che conta è il messaggio che si ricava dalle sue opere – dalla Commedia in primis, ma non solo- che oggi che più che mai scomodo e politicamente scorretto. Scomodo, perché parla di coerenza, di sacrificio per i propri ideali, di fede e di certezze; politicamente scorretto, perché ricorda all’uomo che qualsiasi tentativo di farsi dio di se stesso è destinato a un tragico naufragio, proprio come il folle volo di Ulisse. E nello stesso tempo ricorda che ognuno è responsabile del proprio destino; se da un lato è vero che la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei, è altrettanto vero che la misericordia non può mai esser disgiunta dalla giustizia; concetto molto ostico per i cattolici di oggi, Bergoglio compreso (che comunque è misericordioso solo con chi gli pare a lui). È dunque verissimo, come dice il poeta albanese Ismail Kadare, che Il nostro pianeta è troppo piccolo per permettersi il lusso di ignorare Dante Alighieri. Sfuggire a Dante è impossibile come sfuggire alla propria coscienza. Ma è il Dante autentico, quello a cui occorre rivolgersi; quello che parla con i concetti e l’immaginario del suo tempo, per cui non solo non c’è antitesi tra poesia e teologia, ma anzi la scienza divina può diventare fonte straordinaria di altissima ispirazione poetica (basterebbe citare l’ultimo canto del Paradiso, per fare un esempio.) Ma il suo messaggio è universale ed eterno proprio perché riguarda il significato ultimo dell’esistenza e della vera, autentica umanità, che si realizza solo in vista di un fine trascendente. Si può non condividere i suoi valori e le sue proposte, ma il suo iter mentis ad Deum resta di grande fascino e di grande valore per chi voglia comunque intraprendere una ricerca che non sia solo quella dei subiti guadagni o dell’effimero quotidiano. Buon compleanno nell’eternità, Sommo Poeta, e aiutaci ancora e sempre a tenere alto lo sguardo all’amor che move il sole e l’altre stelle.