Cari amici, pubblicai questo mio articolo – con il “nome de plume” Vinicio Catturelli – nel dicembre del 2015 (Tempus fugit!) su Riscossa Cristiana, poi divenuta Ricognizioni – Idee per vivere senza menzogna. Lo ripropongo ora ai lettori di “Soldati del Re”, sperando venga benignamente, accolto e lo dedico alla cara memoria della Professoressa Rita Calderini e alle sue generose battaglie dalle colonne dell’intrepida ” Voce del CNADSI – Comitato Nazionale Associazione Difesa Scuola Italiana, ricordando anche quel gruppo di colleghi che, durante la contestazione sessantottarda, ebbero il coraggio di opporsi alla barbarie piazzaiola.
Pucci Cipriani
Bruciava il sole della mattina, già alto, e il profumo acre del fieno, tagliato da poco,si mischiava all’effluvio della mentuccia, quando il giovane Robert Marie , accompagnato dal becchino che aveva scavato la fossa, entrò nella piccola cappellina dove, in mezzo troneggiava un freddo tavolo di marmo su cui venne posta la semplice cassetta di legno contenente le ossa, or ora esumate, dopo quaranta anni, dal quadrato destro (terza fossa da sinistra, seconda fila) del cimiterino, piccolo come un fazzoletto, posto proprio a tre passi della chiesetta, verso la strada provinciale.
Quindi Robert declinò le sue generalità, il grado di parentela del de cuius, affermando che “il medesimo Sig. Robert Marie…. ha assistito etc. etc.” e che “lascia in consegna al Sig….custode del camposanto di Cardetole i resti, esumati il giorno 16 giugno 2014, alle ore 11,20 antimeridiane, e che “verranno, a sua volta, inumati nel loculo etc. etc. dello stesso cimitero il giorno 18 giugno 2014… come previsto da contratto etc. etc.”
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“…Ecco… Guido Gozzano aveva ventiquattro anni quando si manifestò anche in lui il male che portò Sergio Corazzini, con le mani in croce, alla tomba…Sì, Guido Gozzano, campò fino a trentatré anni ed ebbe modo, prima di morire, di rielaborare la sua poesia…sentì, a differenza di Corazzini, di potersi dire poeta, per quanto, un poeta piccolo o meglio “piccolissimo”…Gabriele d’Annunzio si era firmato nel “Libro d’Oro” della Poesia con lettere tutte maiuscole; Giovanni Pascoli con le sole iniziali maiuscole G.P.; Guido Gozzano con lettere tutte minuscole, iniziali comprese…”
Il professor Eliseo Contini ripeteva, tra sé e sé , la lezione che, per quaranta anni, era stato il suo “Cavallo di battaglia”, sui crepuscolari e che, immancabilmente, teneva negli ultimi giorni di scuola…
Vi metteva tutta la sua passione e il buon seme cadeva in un terreno assai fertile come la mente dei suoi alunni…un terreno ben preparato, scavato in profondità, concimato con sempre rinnovata pazienza e amore e siglava quella sua lezione , come del resto anche le altre, dopo aver fatto un faticoso lavoro portando a conoscenza (esigeva che le poesie venissero imparate a memoria) dei giovani gli scritti degli autori di cui parlava…per cui quando ad esempio, a proposito di Gozzano, parlava della “Signorina Felicita” o di “Totò Merùmeni” gli alunni già conoscevano quei versi che tornavan loro alla mente.
Declamava, il professor Contini, il paesaggio crepuscolare:
Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.
Poi quando, come seguisse un copione ormai scritto da quarant’anni, si fermava pensoso, gli studenti continuavano cantilenando :
Signorina Felicita è il tuo giorno.
A quest’ora che fai? Tosti il caffè:
e il buon aroma si diffonde intorno!
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all’avvocato che non fa ritorno?
E l’avvocato è qui: che pensa a te.
E questa partecipazione dei suoi alunni sembrava suonasse la carica e allora il Contini si gettava a capofitto:
“Quella crepuscolare è una poesia del lutto (“Invano piange questa Musa a lutto – che porta il lutto a tutto ciò che fu“ Gozzano), una poesia di nostalgia (“I miei perduti sogni – pieni di una mortale nostalgia” Corazzini) di abbandono e di rimpianto, una poesia dimessa, di tono basso,a mezze tinte, povera, certamente ispirata alla vita monotona di tutti i giorni ; ma non è una poesia di rivolta ma versi docili, pieni di delicatezza, di rassegnazione…uomini che non riuscivano a coglier la vita (“Non amo che le rose / che non colsi. Non amo che le cose / che potevano essere e non sono / state...Gozzano) E allora ecco il piccolo mondo provinciale dei crepuscolari : le strade grigie, durante le giornate domenicali di pioggia, attraversate da schiere di educande in divisa, da cani randagi, mentre in qualche stradina buia risuonano le note tristi dell’organino di Barberia, ma anche i “salottini” di “pessimo gusto” come quello di “Nonna Speranza” descritto da Gozzano : “Loreto impagliato e il busto dell’Alfieri, di Napoleone, / i fiori in cornice…/ il caminetto un po’ tetro, le scatole senza confetti / i frutti di marmo coperti dalle campane di vetro …/
…Si ricorda ancora , Eliseo Contini, quando nel Sessantotto – e come dimenticare l’annata della Contestazione pilifera dei “senza sapone e senza cervello”, pilotata “dietro le quinte” dai “poteri forti” ? – insegnava al Liceo classico “Cicognini” di Prato, di un suo bravo alunno, Cosimo Zecchi – divenuto, poi, come spesso succedeva, “sodale” di tante battaglie per la “buona causa” – che, giornalmente declinava le sue pene amorose, il quale attratto da quell’atmosfera malinconica, come “in trance” intervenne di getto, mettendo il Contini “al tappeto”, durante la lezione:
…Professore… non solo la tristezza dei “salottini” ma anche quella, ancor più struggente dell’amore…che passa…che ci avvolge nelle sue spire, la tristezza del passato…i ricordi del tempo malinconico…ma che non torna più…come bene esprime Guelfo Civinini… e via nella teatrale declamazione:
“E nella piccolo fotografia / un po’ sbiadita noi resteremo / con una pallida malinconia…ancor la mano ci stringeremo, ma l’amor nostro dove sarà?..Noi già saremo la moda antica: / il vezzo d’ambra, l’abito bianco, / cose lontane…Perché piangete? “
E, a quel punto era scoppiato un fragoroso applauso da parte dei compagni di classe di Diavolino, come veniva soprannominato lo Zecchi, che precedette l’acclamazione, tributata al professore, che, in genere, si levava alla fine dell’ultima lezione. Se lo covava con gli occhi orgoglioso di questo interesse verso le sue lezioni e i suoi crepuscolari, il professor Eliseo, quel suo alunno di poche parole e molto fare, sempre malinconico e pensante…ma se lo covava, ancor più, e con altri occhi, la Rosalba, quella fanciulla mora, con la vita “di vespa”, e gli occhi ardenti come tizzi di carbone acceso, amante dei classici greci e della musica . Ella aveva dedicato al suo Cosimo :”Dolce e fiorita /…(una) breve romanza di mille promesse la vita”.
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Sì, stamane, come ogni anno, quella sui crepuscolari sarà la sua ultima lezione. Ma questa volta, a differenza degli altri anni, sarà davvero la sua ultima lezione, dopo quarant’anni, di sacrifici…la sua ultima lezione e poi…
Poi sarà libero. Libero di dedicarsi ai suoi studi senza l’assillo giornaliero della scuola : la preparazione delle lezioni, la correzione dei compiti, gli scrutini, gli esami, le interrogazioni, i colloqui con i genitori. Quando, dopo le cinque ore di lezione, Eliseo Contini tornava a casa era stanco morto e, invano, prendeva in mano la sua Divina Commedia. Quando si metteva a scrivere sul suo tavolo, nello studio, il più delle volte volava via, lontano, sull’ali della fantasia, e tornava nel suo paese natio, dai boschi ombrosi in estate e innevati d’ inverno dove scorrevano fiumi pescosi e, nelle ore del giorno, ti teneva compagnia il gracchiar delle cornacchie.O non era poi nato a Cornacchiaia il suo amico, Tito Casini, quel “montanino” che vergava i suoi scritti con la sua “…bella lingua che sa di Trecento e di Mugello” come ebbe a scrivere il Papini quando lo chiamò al “Frontespizio” a “far la fronda” al Fascismo ? Ed era pur di Cornacchiaia don Ivo Biondi, l’insigne latinista, il parroco della chiesetta di San Martino in Argiana, nei pressi di San Casciano, che, nonostante la tragica rivoluzione conciliare, aveva continuato a celebrare la sua Messa in latino, la Messa in rito romano antico, la Messa di sempre e di tutti…e in un altro piccolissimo agglomerato di case, nei pressi di Cornacchiaia era pur nato l’illustre Cardinale di Santa Romana Chiesa Antonio Bacci , l’insigne latinista, che si oppose con ogni forza al dilagare del neomodernismo e si impegnò nella difesa della lingua latina che il Concilio, seppur a parole, aveva decretato che si mantenesse nei riti, secondo la Constitutio de Sacra Liturgia : “Linguae latinae usus in ritis romanis servetur”
Sì, finalmente, Eliseo Contini potrà tornare alle sue battaglie in difesa del latino nella Chiesa…dopo che politici dissennati l’han tolto dalla scuola. Ora avrà tempo. La mattina non percorrerà più in autobus (l’undici o diciassette) quel tragitto da viale dei Mille (viveva nell’attico di uno dei più bei palazzi di via Frusa, con la sua vecchia governante, da quando sua moglie Elisa era deceduta di parto, trent’anni orsono) a via Martelli, alla fermata davanti alla Libreria Marzocco e al suo Liceo, il Galileo, nel quale insegnava ormai da tant’anni e quest’anno avrebbe portato agli Esami di Maturità, dopo i due anni di ginnasio, e i tre di Liceo, la sua classe…o meglio lui sarebbe andato a Venezia, come Commissario esterno, a far gli esami agli alunni del Collegio Nautico “Morosini”, a Venezia dove, prima della fine dell’estate, avrebbe terminato i quarant’anni di carriera scolastica…e poi via, via per sempre dalla scuola, libero…finalmente libero…
Questo diceva tra sé, ma non si sentiva, in cuore, quella contentezza, quella voglia di vivere, quell’ansia di libertà che, da tant’anni, sognava. Ora andava indietro nel tempo e, quella mattina, prima delle tre ore di lezione, dopo la ricreazione delle 11, sceso dall’autobus, entra in biblioteca e ritira quel libro che aveva ordinato la settimana scorsa : “Esercizi Spirituali dettati dal Cardinale Giuseppe Siri” quindi, sfogliando avidamente il volumetto, (da stasera avrà tempo anche per gli esercizi spirituali, all’ombra delle vecchie querce ombrose della sua Firenzuola dove si recherà per la Santa Maria) si avvia, verso il portone del Galileo, per la sua ultima lezione e, in quei pochi minuti, mille pensieri, mille ricordi, gli turbinano impetuosamente nella mente: era il 1963, undici anni orsono, e lui non aveva ancora i capelli bianchi, solo qualche filo d’argento, quando si batté, con la determinazione di un vecchio soldato, con l’entusiasmo di un cavaliere , contro la nuova riforma della scuola che avrebbe portato al livellamento dei ragazzi, all’omologazione…il primo nemico, per gli iconoclasti democristiani e delle sinistre, fu il latino. Lo aveva detto, chiaro e tondo, nei suoi scritti pieni di odio, di invettive e di parolacce, il prete rosso don Lorenzo Milani, l’intellettuale da quattro soldi, pompato dai potenti del tempo e dalla grande stampa (ora si parlerebbe di “media”), l’idolo dei contestatori psicolabili, dei proletari della domenica, delle damine radical chic vegetariane che consultavano gli oroscopi e le pitonesse, di quelle studentesse “à la page” che diverranno, poi, le “mammine sessantottine”, ossia le ochette che, oltre alle pitonesse, consulteranno anche i maghetti e le cartomanti ma, soprattutto, gli psicologi, ovverosia i cultori di una scienza che non è scienza, i tuttologhi del nulla, i sottoprodotti di questa “arte varia” che, un tempo, veniva esibita nei circhi equestri, insieme allo spettacolo delle foche ammaestrate e della donna cannone.
Dava noia ai “novatori” la libera scelta, dopo le cinque classi delle elementari, tra i tre anni della scuola media dove si insegnava il latino e si dava molta importanza alle materie umaniste, e i tre anni dell’avviamento professionale…quella difesa del latino che il professor Contini pubblicò in terza pagina sul quotidiano “Roma” di Napoli, la lesse poi (e meglio sarebbe dire: la declamò) ,anno dopo anno, nelle sue classi, di fronte ai ragazzi che, a bocca aperta, con intensa partecipazione, ascoltavano il loro insegnante:
“…Mi verrebbe da dire, cari ragazzi : “Nolite mittere margaritas ante porcos” (“Non mettete le perle davanti ai porci”) ammesso che nella scuola ci siano stati, in alto come in basso, e ci siano tuttavia dei porci…ma sarebbe solo vieta polemica!
L’espellere il latino dalla scuola dell’obbligo, cioè ridurlo a una beffa, è stata cosa indubbiamente delittuosa. A che scopo lasciare completamente libero il primo anno, dare, come appendice, (il padrone coi rivolgimenti sociali diventa l’ultimo e umile servo!) dell’italiano nella seconda, materia facoltativa nella terza? Al primo compito scadente l’alunno esterrefatto opterà per l’altra materia; poi, dopo un paio di mesi, si pente e si ritorna al latino. Ma pagliacciata più innominabile di questa si poteva pensare? Si poteva minare peggio la serietà di uno studio e colpire il senso di disciplina, proprio quando occorre far capire che lo studio è lavoro, serietà, ordine? ..Fatto così, meglio sarebbe quasi non farlo, il latino: si eviterebbe così la beffa e il ridicolo. Lo so: è proprio quello che si desidera da certe correnti che vogliono romperla con il passato, qui, centro della latinità…quando gli scienziati propongono che le opere di scienza vengano scritte in latino per risparmiare il tempo incalcolabile per tradurle dalle varie lingue, o, per lo meno, scrivere, alla fine di ogni articolo, un sommario latino,…quando, nelle altre nazioni, come in Francia, il latino è ripristinato come materia obbligatoria, quando , in Germania, il latino si studia fin da nove anni…quando Giovanni XXIII esorta, anzi, ordina per i suoi il ritorno all’uso del latino e alla composizione latina nei seminari…”
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E, poi, ai suoi ragazzi che ascoltando tifavano per il latino, il professor Eliseo, a coronamento, leggeva una lettera apparsa sullo stesso quotidiano napoletano “Roma” di tre ottimi suoi ex allievi del Liceo classico di Pistoia, di cui aveva perso le tracce e che aveva ritrovato in quell’ unum sentire : Domenico Rosa, originario dell’Abruzzo, che dopo la Laurea in lettere antiche, abbracciò la carriera ecclesiastica vestendo l’abito dei Serviti, Manlio Tonfoni, valente avvocato del Foro di Pistoia e Mirco Tognarelli, giurista.
E allora il Contini, commosso, leggeva, facendo finta di schiarirsi la voce, mentre gli occhi si inumidivano:
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Carissimo Professor Contini,
Siamo tre suoi allievi, come Ella certamente ricorderà, del Liceo classico di Pistoia e vorremmo congratularci per la lettera apparsa sul “Roma” del… Al suo coraggioso scritto (sappiamo bene che, per chi, come Lei, vive nella scuola ci vuol coraggio, oggi in questo periodo di dissennata contestazione, per mantenere certe posizioni) vorremmo aggiungere alcune nostre considerazioni su questa disgraziata riforma. Qualcuno ha affermato che la riforma segna : “un più elevato livello culturale e quindi una più completa coscienza democratica(?!) C’è di che sorridere amaramente sulla attuale “elevatezza culturale” di certo “culturame”; che c’entri, poi, la coscienza democratica non riusciamo a capire. Un Deputato “iconoclasta” (certo Russo) non esita a dire che “mettere sullo stesso piano tutti i ragazzi senza distinzione di ceto e di censo costituisce un fatto nuovo”…e dove abbia trovato, il Russo, un Preside, che all’iscrizione, abbia preteso un certificato di ceto e di censo non lo dice. Non si capisce come si possano scrivere idiozie simili. A queste tiene bordone il ministro Gui, il quale dice che con la nuova riforma non ci sarà un “abbassamento del livello culturale nazionale , al contrario essa determinerà un elevamento del livello culturale del Paese”. I professori Onorato Tescari, Pighi, Ottaviano, il Cardinal Bacci, Rita Calderini e Vittorio Enzo Alfieri con il CNADSI e il MOLRUI (tutta gente i cui scritti, grazie alle sue lezioni, abbiamo letto a scuola) e centinaia di illustri Docenti e studiosi negano tutto questo: lo nega la classe dei professori. Concetto Marchesi scrisse: “La scuola classica in Italia va rispettata”. I suoi degeneri compagni e compagnelli dello scudo crociato la rispettano…togliendole il respiro in modo che muoia lentamente, per asfissia. La “Civiltà Cattolica” dice (e gli occhi si allargano di stupore per la meraviglia e l’incredulità!) che “lo studio del latino ha guadagnato (sic) in serietà ed è restato la porta obbligatoria per l’ingresso nel Liceo classico”. E in che consista questo guadagno, da ex studenti del glorioso “classico”, proprio non riusciamo a vederlo : vediamo solo un regresso spaventoso, e a non lunga scadenza.
Domenico Rosa – Mirco Tognarelli – Manlio Tonfoni
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Con quale cattiveria e odio avessero condotto in porto la Riforma, il Contini lo deduceva dalle parole con le quali, il prete rosso don Milani, chiosò, nel suo libello “Lettera a una Professoressa”, la “nefanda impresa”:
“E se ci sarà qualche professore di quelli che rimpiangano la vecchia scuola media con il latino come privilegio di pochi e dove si promuovevano i Pierini e si bocciavano i poveri, gli diciamo di stare attento perché quando andremo al potere noi lo manderemo in Siberia”
E allora i suoi studenti, anche i sessantottini ribelli, capivano quale fosse il “buon seme” e il “seme dell’odio” e, secondo il professor Eliseo Contini,la più bella testimonianza l’aveva data, in Parlamento, alla Camera dei Deputati, l’Onorevole Avvocato Cesare degli Occhi, Monarchico, che aveva tenuto il suo meraviglioso intervento – di fronte allo stupore, alla meraviglia e anche all’ammirazione degli altri deputati – in un perfetto latino ciceroniano.
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Sì, oggi, per l’ultima volta, dopo quarant’anni, siederà alla cattedra – non farà l’appello perché è sicuro che tutti saranno presenti – e, anche, per evitare di fare discorsi di addio che lo commuoverebbero, nonostante abbia da tanto desiderato questo giorno (“questo guazzabuglio del cuore umano” avrebbe sottolineato il suo adorato Manzoni) e inizierà a parlare.
Quando entra gli studenti sono in piedi e, inaspettatamente, gli consegnano una scatoletta che lui cerca di aprire e, mentre scarta avidamente, con le mani tremanti, alla fine,tira fuori una targhetta d’argento con la scritta : “Al Professor Eliseo Contini, Amico e Maestro, gli alunni della III C del Liceo “Galileo” A.D. 1974″ Anna Balestri – Andrea Ciardi – Alberto Fallani…Guido Scatizzi – Renata Zanieri -Niccolò Zingoni”
C’erano tutti i “suoi ragazzi”…anche il piccolo O.V. e, l’altra, A.M., quella che, a ogni piè sospinto, contestava, aveva da ridire su tutto e che aveva accusato lo stesso Contini di essere un “pericoloso fascista” e che, solo alla fine, era divenuta più malleabile, disposta, almeno, ad ascoltare, a differenza del suo “compagno” O.V. per il quale bastava un’occhiata di Alberto Fallani, che del Contini era diventato una sorta di scudiero, per farlo diventar “canino”, a cuccia, ad uggiolare, come i cani bastonati..
Anche i due “sessantottini” ora sembrano guardarlo con altri occhi, quasi si volessero scusare per il loro comportamento, tenuto negli ultimi tre anni di scuola, e che Eliseo Contini aveva sopportato pazientemente : “Li sopporto solo – diceva – perché, grazie a Dio, questo è il mio ultimo anno…poi basta con la scuola perché non è più essa da quando è entrato il “seme dell’odio”, il verbo avvelenato di don Milani e degli altri “cattivi maestri” del Sessantotto – Sì, ringrazio Dio di potermene, finalmente, andare…”
A nome di tutti, prende la parola Guido Scatizzi – lui che detiene “ambo le chiavi del cor di Federico” – che sa toccare le corde del sentimento e, dopo aver ringraziato e rimembrato i tre anni trascorsi insieme con un commovente “amarcord” racconta come l’idea del regalo fosse venuta proprio dagli “estremi” ovvero da AM e OV e da Alberto Fallani che, forse, per l’unica volta, in tre anni, si eran parlati senza scambiarsi occhiatacce truci o male parole…o peggio.
Ecco, il Contini, assai commosso, nella sua mente sta già pensando a dove porre quella targa argentea…sulla consolle, davanti alla sua scrivania ove possa guardarla ogni qualvolta distolga la mente dai “legghiadri studi e le sudate carte” quegli studi a lui davvero cari :il Poliziano e le sue “Stanze”, Il Tasso e la sua “Gerusalemme Liberata”, il Metastasio, il “Fanciullino” del Pascoli, la conversione del Carducci e le sue liriche mariane, i poeti interventisti e neutralisti nella Guerra del 1914 -1918, le Insorgenze antigiacobine toscane dei “Viva Maria”, gli scrittori belva : Giuliotti, Tozzi, Papini…e anche sulla cultura italiana e l’ermetismo: il suo amico Adolfo Oxilia e la rivista”L’Ultima” e il “Frontespizio”, il “Pian de’ Giullari” di Piero Bargellini, e poi Dino Campana, Ungaretti, Quasimodo, Montale e Bruno Cicognani e il suo amatissimo Vasco Pratolini….e anche Guido,uno dei più preparati, se non il più bravo dei suoi allievi, era interessato a questi argomenti…una volta il Contini lo aveva visto, in prima liceo,durante la lezione, a testa bassa, mentre, furtivamente stava leggendo un libro che teneva sulle ginocchia, mentre portava gli occhi, a intermittenza, ora sulle gambe, ora sul banco, dove aveva aperto, il volume con le opere del Manzoni e, precisamente, il primo Coro dell’Adelchi: “Dagli atri muscosi, dai fori cadenti…” che si stava spiegando. Il professore fece un balzo felino e fu alle spalle del suo alunno e si accorse che, pur seguendo la Tragedia, era preso dal “libro proibito” che il Contini riuscì ad intercettare con uno sguardo : “Monsignor Lefebvre: un vescovo parla”…e bastò questo perché tra i due si instaurasse una reciproca “affinità” che venne poi consolidata nei due anni seguenti dati anche gli stessi interessi per la difesa della vecchia liturgia e della Messa nel rito romano antico…l’amore per i classici e per la lingua latina. E fu il professore, nel giugno del 1973, a chiedere al suo alunno Guido se mai avesse desiderato recarsi, insieme a lui alla professoressa Liliana Balotta, a Econe, in Svizzera, presso il Seminario di Monsignor Lefebvre, per assistere alle Ordinazioni Sacerdotali, nel giorno di San Pietro e Paolo. “Mi raccomando – disse il prof. all’alunno – comunque, Scatizzi, non faccia parola con altri perché qui, a scuola, siamo ‘controllati a vista’ e Guido, tutto contento, rispose d’un fiato con il garibaldinesco : “Prof. Obbedisco!”
Il Fallani – e lo ricordava l’elegantissimo e compito Niccolò Zingoni, cattolico tradizionalista e monarchico, un vero gentleman che, quando i militanti di “Lotta Continua” percorsero tutta via Cavour al grido di “Zingoni, fascista, sei il primo della lista” e arrivati davanti al Galileo si misero a scandire ritmicamente il suo cognome : “Zingoni – Zingoni – Zingoni” , lui, che si trovava davanti al portone, a tre passi dalla chiesetta di San Giovannino degli Scolopi, fece un passo in avanti, in direzione del corteo, e, sugli attenti, alzando la mano, rispose impeccabilmente, all’insolito appello: “Presente” e via, di corsa, dentro la chiesa di San Giovannino dove il sagrestano, dopo il suo passaggio, serrò la porta, con tanto di doppio paletto, per evitare un linciaggio – era venuto nella sezione C, dalla A, in prima liceo e la sua venuta, prima che dal Preside era stata annunziata dal bisbiglio delle ragazze che, contente, comunicavano tra loro : “Oh, lo sai che in classe nostra viene Alberto Fallani?” “Oh davvero? – rispondeva l’altra – mamma mia che emozione, speriamo che si metta seduto accanto a me…o almeno nei paraggi, mi batte già il cuore”. E ridevano, ridevano felici in attesa del “bel tenebroso” come lo chiamava la professoressa Niccolini, che insegnava latino e greco al Ginnasio…e intanto il ragazzo era arrivato e, oltre alla sua fama di don Giovanni, portava con sé il suo bagaglio “dannunziano” (nel senso che era affascinato non solo dalla poesia del D’Annunzio, ma ahinoi, anche dal “personaggio”) e “nicciano”, la sua passione per la disciplina e per l’esercito, per i voli e per i lanci col paracadute…insomma tutto quello che nell’epoca della contestazione sessantottarda serviva a “rendere” antipatico ai docenti e ai discenti il ragazzo che, invece, al prof. Eliseo Contini, nonostante la sua antipatia per il “personaggio” D’Annunzio, rimase subito simpatico, in quanto vide in lui una persona piena di idealità che parlava di doveri e di disciplina…cosa assai rara, quando allora si parlava soltanto di “diritti” e gli slogan erano : “Tutto e subito”, “Padroni maiali…domani prosciutti”; “L’utero è mio e lo gestisco io”…mentre circolavano le “Liste di proscrizione” redatte da “Lotta Continua”, con il nome e cognome, indirizzo e telefono dei “fascisti” (e chiunque si opponesse alla Rivoluzione giacobina era classificato “fascista”)…anche il Fallani non sfuggì (ma non sfuggì neanche il Prof. Contini e non sfuggì neanche il sottoscritto scrivente, oggi novantaquatrenne) dalle grinfie dei “giustizieri” e comparve sulle mura del Galileo il disegno di un cappio con accanto la scritta: “Fallani a morte!”…
…Intanto il Professor Contini si asciugò il sudore e, con la voce tremante dall’emozione, cercando di schiarirsi la voce iniziò, dopo essersi assiso, in cattedra, la sua ultima lezione…e quando, alla fine, arrivò lo scrosciante applauso dei ragazzi, gli entro in testa e gli parve che, nel suo cervello, si fosse liberato un bugno d’api.
Accompagnò , come aveva fatto per quarant’anni, i suoi alunni al portone e, con gli occhi, li salutò…mentre sciamavano.
Eccolo, finalmente libero…già pensa, il professore, a tutto quello che avrà da fare: intanto – e lo pensava mentre stava salendo sull’undici che lo avrebbe portato a casa – dopo pranzo preparerà la lezione…insomma la conferenza per l’associazione “Una Voce” in difesa della liturgia latino gregoriana che terrà venerdì prossimo da don Luigi Stefani, allo “Sprone”…poi scriverà l’articolo per “La Gazzetta Ticinese”…
Pensava anche – e intanto continuava quel ronzio nella sua testa – che, in settimana nuova sarebbe andato a Roma a trovare Monsignor Bartolucci, il Maestro della Cappella Sistina…e poi alla Libreria di via del Corso e…anche a “Realtà Politica”, così avrebbe consegnato di persona al Direttore, Alcide Cotturone, il suo pezzo settimanale…e, già che c’era, sarebbe arrivato a anche a trovare il suo amico Emilio Cavaterra che, così, gli avrebbe fatto dono del suo ultimo libro : “Il Papa negro”…
E, in questi pensieri, entrò in casa – oggi era solo, Elsa aveva il suo giorno libero ed era andata dalla nipote, a Scandicci – e, meccanicamente, entrò nello studio per riporre la borsa…quando uscì, e ancora sentiva in testa il brusio, si sentì più affaticato del solito, quasi le gambe non lo reggevano… prende un antidolorifico, e intanto si distende sul divano…e si lasciò cadere sopra, lentamente, intanto dalla finestra, – non era stata tirata la tenda- entrava una bella luce abbagliante …quando fu disteso si accorse che doveva arrivare un temporale perché , a mano a mano, scompariva la luce del sole…finché non fu buio…e allora il prof. Eliseo Contini… cercò di ricordare …ma, in quel preciso momento, non ricordò più niente…
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Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,
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uno schianto stridente…
…E allora morirò. (Sergio Corazzini)
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Il ragazzo, dopo aver riletto attentamente il verbale del riconoscimento delle ossa del prof. Eliseo Contini firmò – “Mi raccomando con tutti i nomi” lo aveva pregato il becchino – per esteso Robert Marie Sermattei de Vigny la Tour. Era il figlio di un pronipote di Chiara Contini, la sorella di Eliseo, che era andata in sposa, in Francia, al Marchese Raymond de Vigny.
Robert Marie aveva ventidue anni e non aveva conosciuto quel “lontano” zio, defunto il pomeriggio del 12 giugno 1974, ma lo sentiva come un amico caro e un sodale fedele dentro il suo cuore…come lui,condivideva la Fede per la Chiesa di sempre, e la fedeltà alla Monarchia Tradizionale e al suo Re, Luigi di Borbone che era subentrato al padre Alfonso, che lo zio Eliseo aveva conosciuto e lo aveva ricevuto a Firenze, con la madre, SAR la Duchessa di Segovia insieme alla quale aveva anche parlato al Palazzo dei Congressi sul Martirio della Vandea.Il giovane de Vigny era in Francia, nonostante la giovanissima età, uno degli esponenti di punta della Monarchia tradizionale e aveva rapporti con Luigi di Borbone (Louis XX) il legittimo successore dei Re di Francia…
Poi il giovane depose sulla cassetta, contenente le povere ossa, una fazzoletto con sopra ricamati i Gigli di Francia e il Cuore della Vandea : “Mi raccomando -disse rivolto al becchino che guardava incuriosito – quando metterà la cassetta nel loculo, lasci sopra questa Bandiera!”..
E riguardò il marmo bianco sul quale aveva messo il nome dello zio sul quale aveva fatto incidere il nome e il cognome del defunto con la data di nascita e quella di morte e, sotto, la scritta : “Sperai! Credetti! Vedo!”
Erano le ultime parole di una poesia di Louis Veuillot, il Difensore intrepido del Trono e dell’Altare, che l’autore francese, tanto caro allo zio e ora anche al giovane Robert Marie, volle come epitaffio sulla sua tomba:
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Ponetemi una penna tra le dita,
sul cuor la Croce, che mi fu sì cara,
sotto il capo i miei libri, anima e vita,
ed inchiodate in pace la mia bara.
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Quando l’ultimo addio salirà l’erta,
sull’avel mio piantate il Dio cui credo,
e, se avrò meritato un’umil pietra,
scolpitevi : Sperai, Credetti, Vedo!
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