Un appello della Fondazione Lepanto
Osi, Monsignore!
Venticinque anni dopo…
Venticinque anni fa, l’8 febbraio del 1994, il Parlamento Europeo votò una risoluzione che invitava gli Stati europei a promuovere e a tutelare giuridicamente l’omosessualità.
Nell’Angelus del 22 febbraio 1994 il Santo Padre Giovanni Paolo II si rivolse all’opinione pubblica mondiale affermando che «l’approvazione giuridica dell’omosessualità non è ammissibile (…)Con la Risoluzione del Parlamento Europeo si è chiesto di legittimare un disordine morale. Il Parlamento ha conferito indebitamente un valore istituzionale a comportamenti devianti, non conformi al piano di Dio».
Nel maggio di quello stesso anno, il Centro Culturale Lepanto, diffuse a Strasburgo, tra gli europarlamentari, un manifesto dal titolo “L’Europa a Strasburgo: rappresentata o tradita” in cui rivolgeva una indignata protesta contro la promozione di un vizio condannato dalla coscienza cristiana e occidentale e chiedeva a tutti i vescovi europei «di unire la loro voce a quella del Supremo Pastore, per moltiplicarla nelle loro diocesi, denunciando pubblicamente la colpa morale di cui si è macchiata l’euroassemblea e mettendo in guardia il gregge loro affidato dagli attacchi crescenti delle forze anticristiane nel mondo».
Oggi, uno dopo l’altro, i principali Stati europei, compresi quelli più di più antica tradizione cattolica, hanno elevato la sodomia a bene giuridico, riconoscendo, sotto diversa forma, il cosiddetto “matrimonio omosessuale” e introducendo il reato di “omofobia”. I Pastori della Chiesa, che avrebbero dovuto opporre un’infrangibile diga all’omosessualizzazione della società promossa dalla classe politica e dalle oligarchie mediatico-finanziarie, l’hanno di fatto favorita con il loro silenzio. Perfino ai vertici della Chiesa, si è diffusa come una metastasi la pratica dell’omosessualità e una cultura detta“gay-friendly” che giustifica e incoraggia il vizio omosessuale.
Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, in un messaggio del 28 luglio 2018, ha affermato che «siamo testimoni dell’incredibile scenario in cui alcuni sacerdoti e persino vescovi e cardinali, senza arrossire, stanno già offrendo i grani d’incenso all’idolo dell’ideologia dell’omosessualità ossia del gender sotto l’applauso dei potenti di questo mondo, cioè, sotto l’applauso dei politici, dei social media e delle potenti organizzazioni internazionali».
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò,nella sua storica testimonianza del 22 agosto 2018, ha denunciato, con nomi e circostanze precise, l’esistenza di una «corrente filo omossessuale favorevole a sovvertire la dottrina cattolica a riguardo dell’omosessualità» e la presenza di «reti di omosessuali, ormai diffuse in molte diocesi, seminari, ordini religiosi, ecc.», che «agiscono coperte dal segreto e dalla menzogna con la potenza dei tentacoli di una piovra e stritolano vittime innocenti, vocazioni sacerdotali e stanno strangolando l’intera Chiesa».
Queste voci coraggiose sono rimaste fino ad oggi isolate. Il clima di indifferenza e di omertà che regna all’interno della Chiesa, ha profonde radici, morali e dottrinali, che risalgono all’epoca del Concilio Vaticano II, quandole gerarchie ecclesiasticheaccettarono il processo di secolarizzazione come un fenomeno irreversibile. Ma quando la Chiesa si subordina al secolarismo, il Regno di Cristo viene mondanizzato e ridotto a struttura di potere. Lo spirito militante si dissolve e la Chiesa invece di convertire il mondo alla legge del Vangelo, piega il Vangelo alle esigenze del mondo.
Vorremmo sentir risuonare le parole incandescenti di un san Pier Damiani e di un san Bernardino da Siena, invece della frase di papa Francesco «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà chi sono io per giudicarla?» Se il significato di questa frase è stato distorto dai mass-media, occorrerebbe combattere la strumentalizzazione mediatica con documenti chiari e solenni di condanna della sodomia, come fece san Pio V, con le due costituzioni, Cumprimum del 1 aprile 1566 e Horrendumilludscelus del 30 agosto 1568. Invece l’Esortazione post-sinodale Amoris laetitia di papa Francesco dell’8 aprile 2016, non solo tace su questo gravissimo disordine morale, ma relativizzai precetti della legge naturale,aprendo la strada al concubinaggio e all’adulterio.
È per questo che Le rivolgiamo un appello Monsignore.
Servire la Chiesa
La parola Monsignore evoca una dignità, non un potere, né una funzione burocratica. A tutti i vescovi, successori degli Apostoli, viene riconosciuta la qualifica di Monsignore, ma anche semplici sacerdoti possono ricevere questo titolo. La parola dignità, anche se ad essa è dedicata una dichiarazione del Concilio Vaticano II, oggi sembra aver perso di significato. Dignità significa consapevolezza di un ruolo e di una missione, affidata da Dio. Dal rispetto della propria dignità scaturisce il sentimento dell’onore. La sua dignità, Monsignore, deriva dall’onore che Lei ha di servire la Chiesa, senza cercare né i propri interessi né il consenso dei potenti. La dignità di MonsignoreLei l’ha ricevuta dalla Chiesa, non dagli uomini di Chiesa e alla Chiesa ne deve dar conto. La Chiesa è la società divina, fondata da Gesù Cristo, sempre perfetta e sempre vittoriosa, nel tempo e nell’eternità. Gli uomini di Chiesa possono servire la Chiesa o tradirla. Servire la Chiesa significa anteporre gli interessi della Chiesa, che sono quelli di Gesù Cristo, agli interessi personali. Tradire la Chiesa significa anteporre gli interessi di una famiglia, di un istitutoreligioso, di un’autorità ecclesiastica intesa come persona privata alla Verità della Chiesa, che è la Verità di Gesù Cristo, unica Via, Verità e Vita (Gv 14,6).
Faremmo torto alla sua intelligenza, Monsignore, se non supponessimo che Lei abbia una certa consapevolezza della crisi nella Chiesa. Alcuni eminenti cardinali, in diverse occasioni, hanno manifestato il loro disagio e la loro preoccupazione per quanto sta avvenendo nella Chiesa. Lo stesso disagio è quello avvertito dall’uomo comune, profondamente disorientato dai nuovi paradigmi religiosi e morali. Di fronte a questo disagio, quante volte, in privato, Lei ha allargato le braccia, cercando di tranquillizzare il suo interlocutore con parole come «Non possiamo fare altro che tacere e pregare. Il Papa non è immortale. Pensiamo al prossimo conclave». Tutto, ma non parlare, ma non agire. Il silenzio come regola suprema di comportamento. Pesa in questo atteggiamento l’umano servilismo, l’egoismo di chi mira innanzitutto al quieto vivere, l’opportunismo di chi è capace di adattarsi ad ogni situazione? Affermarlo sarebbe fare un processo alle intenzioni, e il processo alle intenzioni non possono farlo gli uomini, potrà farlo solo Dio, il giorno del Giudizio, quando saremo soli dinanzi a Lui, per ascoltare dalle Sue labbra l’inappellabile sentenza che ci avvierà all’eterna felicità o all’eterna dannazione. Chi vive sulla terra può giudicare solo i fatti e le parole, come oggettivamente suonano. E le parole con cui Lei, Monsignore, spiega il Suo comportamento sono talvolta più nobili dei suoi sentimenti.«Dobbiamo seguire il Papa anche quando ci dispiace, perché è Lui la roccia su cui Cristo ha costruito la sua Chiesa»; oppure «Dobbiamo evitare ad ogni costo uno scisma, perché sarebbe la più grave sciagura della Chiesa».
Nobili parole, perché enunciano delle verità. Il Papa è il fondamento della Chiesa, e la Chiesa non può temere nulla di peggio che uno scisma. Ma ciò su cui, Monsignore, vogliamo farla riflettere, è che la strada del silenzio assoluto che Lei vuole percorrere, porterà danno al Papatoe affretterà lo scisma nella Chiesa.
È vero infatti che il Papa è il fondamento della Chiesa, ma prima che su di lui, la Chiesa è fondata su Gesù Cristo. Gesù Cristo è il fondamento primario e divino della Chiesa, Pietro ne è il fondamento secondario ed umano, anche se divinamente assistito. L’assistenza divina non esclude l’errore, né esclude il peccato. Nella storia della Chiesa non mancano Papi che hanno peccato od errato, senza che questo pregiudicasse mai l’istituzione del Papato. Affermare che bisogna sempre seguire il Papa, senza mai discostarsi da lui, rinunciando, in casi eccezionali, a correggerlo rispettosamente, significa attribuire alla Chiesa tutti gli errori che nel corso dei secoli sono stati compiuti dagli uomini di Chiesa. La mancanza di questa distinzione tra Chiesa e uomini di Chiesa, serve ai nemici della Chiesa per attaccarla e a tanti falsi amici per rinunciare a servirla.
Altrettanto gravida di conseguenze è l’affermazione secondo cui rompere il silenzio, dire la verità, denunciare – se necessario – le infedeltà dello stesso Pastore Supremo, porterebbe a uno scisma. Ma lo scisma è divisione e mai come in questo momento della sua storia la Chiesa appare al suo interno divisa e frammentata. All’interno di ogni parrocchia, di ogni diocesi, di ogni nazione, è impossibile definire una regola comune di vivere il Vangelo, perché ognuno fa esperienza di un cristianesimo diverso, in campo liturgico e dogmatico, costruendosi la propria religione, in modo tale che di comune resta solo il nome, non c’è più la sostanza. Quali sono le ragioni di questa frammentazione? È scomparsa la stella che indica il cammino e i fedeli avanzano nel buio della notte seguendo opinioni e sentimenti personali, senza che una voce si levi per ricordare loro qual è la dottrina e la prassi immutabile della Chiesa. Lo scisma è provocato dall’oscurità, figlia del silenzio. Solo voci chiare, voci cristalline, voci integralmente fedeli alla Tradizione possono dissipare le tenebre e permettere ai buoni cattolici di superare le divisioni, provocate da questo pontificato ed evitare nuove umiliazioni alla Chiesa, dopo quelle già inflitte da papa Francesco. Per salvare la Chiesa dallo scisma, c’è un solo modo: quello di proclamare la Verità. Tacendo lo favoriremo.
Estremo appello
Monsignore, Lei che gode di una dignità, Lei che esercita un’autorità morale, Lei che raccoglie un’eredità, di che cosa ha timore? Il mondo La può aggredire con diffamazioni e maldicenze, i suoi superiori La possono privare della sua autorità e dignità esterna. Ma è al Signore che dovrà rendere conto, come ognuno di noi, il giorno del Giudizio, quando tutto sarà pesato e giudicato secondo misura. Non ci chieda cosa fare in concreto. Se vorrà osare, lo Spirito Santo non mancherà di suggerire alla sua coscienza tempi, modi e toni di uscire allo scoperto ed essere «luce del mondo, città posta sul monte, fiaccola accesa sul lucerniere» (Mt5, 13-16)
Ciò che Le chiediamo, Monsignore, è di assumere un atteggiamento di filiale critica, di deferente resistenza, di devota separazione morale nei confronti dei responsabili della autodemolizione della Chiesa. Osi incoraggiare apertamente chi difende la Chiesa al suo interno e professi pubblicamente tutta la Verità cattolica. Osi cercare altri confratelli che si uniscano a Lei e a noi per lanciare insieme quel grido di guerra e di amore che san Luigi Maria Grignion di Monfort levò nella Preghiera infuocata con le parole profetiche: «Al fuoco!Al fuoco!Al fuoco! C’è fuoco nella casa di Dio. C’è fuoco nelle anime. C’è fuoco fin nel Santuario».
Lingue di fuoco come quelle di Pentecoste, bagliori di fuoco come quelli dell’inferno, sembrano sospesi sulla terra. Fuoco distruttore, fuoco purificatore, fuoco restauratore, destinato ad avvolgere la terra, a consumarla e a trasformarla. Che il fuoco divino divampi prima di quello della collera, che ridurrà la nostra società in cenere, come accadde a Sodoma e Gomorra. È questa la ragione dell’appelloche Le rivolgo, venticinque anni dopo la sciagurata risoluzione del Parlamento Europeo, per il bene delle anime, per l’onore della Chiesa e per la salvezza della società.
Monsignore, accolga questo appello, che è anche un’invocazione alla Madonna e agli Angeli perché intervengano, al più presto, per salvare la Chiesa e il mondo intero. Osi Monsignore, assuma questo santo proposito per il 2019 e ci troverà al suo fianco nella buona battaglia!
Roberto de Mattei
Presidente della Fondazione Lepanto
Ai piedi della mangiatoia, in questo primo Sabato del mese di gennaio 2019,
Vigilia della S. Epifania
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fonte: STILUM CURIAE