di Guido Scatizzi
Le vicende, tristi e luminose a un tempo, del giovane Luigi Carlo di Borbone, delfino di Francia prima e re di Francia poi, sono strettamente legate alla rivista Controrivoluzione per duo ordini di ragioni.
Innanzitutto, perché la rivista diretta da Pucci Cipriani è stata la prima a pubblicare in Italia, con i numeri dal 12 al 15 del 1991, il libello di Hilaire de Jésus intitolato La vera storia e il martirio del piccolo re di Francia Luigi XVII, che oggi viene riproposto al grande pubblico per i tipi di Solfanelli Editore. In secondo luogo, perché la figura di Luigi XVII “parla” su più registri al contesto storico attuale, come Controrivoluzione si propone sin dalla sua fondazione.
Difatti, se un campione del Terrore come Bertrand Barère, coevo del piccolo re, ebbe a sostenere un giorno che: “è necessario che i nemici periscano, perché solo i morti non tornano indietro”, da parte cattolica, come in questo caso, posiamo sostenere che è vero piuttosto il contrario: se i morti non tornano indietro sul piano naturale, certamente lo fanno su quello soprannaturale, per mezzo del misterioso e affascinante articolo di fede che va sotto il nome di communio sanctorum, per il quale le “tre Chiese” (militante, purgante e trionfante) si sostengono a vicende nel procedere verso Dio, in modo tale che i santi, con il loro esempio e la loro testimonianza, “tornano indietro” dall’Eternità per condurre noi mortali “avanti” verso essa. Le tappe finali dell’esistenza di questo re bambino, infatti, conservano precisi rimandi all’attualità: imprigionato e traviato dai rivoluzionari, che intendevano spegnere in lui “ogni parvenza di dignità reale”, nonostante il concetto di dignità fosse stato posto al centro, in maniera del tutto velleitaria evidentemente, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, non è lontano ancor’oggi dalla moltitudine di infanzia scandalizzata e violata da parte di coloro che dovrebbero, invece, proteggerla e preservarla; strappato prima alla madre e alla sorella, poi anche al padre, e affidato alle “cure” dei coniugi sanculotti Simon, non è lontano a tutt’oggi da ogni legislazione prevaricatrice nei confronti della famiglia naturale e unita, la cui frantumazione non porta nocumento maggiore altro che alla prole; infine, “murato vivo” in seguito alla morte della madre, lasciato morire in quanto “inutile” alla furia rivoluzionaria, Luigi pare essere l’antesignano di molte contemporanee esistenze, coartate dal Principe di questo mondo più al sopravvivere che al vivere, senza un fine ed una appartenenza.
Luigi Carlo di Borbone è certamente una figura martirologica e pertanto eloquente, in ragione della perfidia (dal latino per-fides, lealtà o fedeltà deviata e malevolmente) che ne accompagnò, come per il Redentore, in particolare l’ultimo triennio di vita e, quindi, la morte. Abbandonato anche dai sui aguzzini, la sua condizione disperata riuscì a convertire il suo ultimo carceriere, che nel dargli sommaria sepoltura nel cimitero di Santa Margherita a Parigi, nel 1795, fece apporre sulla lapide questo commovente epitaffio: “Attendite et videte si est dolor sicut dolor meus“, tratto dalla prima delle Lamentazione del profeta Geremia, figura del doloro cristico e mariano, come di quello di tutti coloro che nell’offerta della sofferenza terrena hanno stretto il loro definitivo sodalizio con il Salvatore.
Buona lettura!